Resistenza alla cura nella demenza: problema o messaggio?
Il personale infermieristico e gli operatori sanitari formali incontrano spesso resistenza alla cura o rifiuto da parte di tali residenti quando forniscono assistenza. Tale comportamento può essere un grande ostacolo, in particolare quando i caregiver tentano di fornire assistenza nella cura personale quotidiana, tra cui l’igiene orale, il bagno, l’alimentazione, la vestizione e la toilette (R. Konno, H. S. Kang, K. Makimoto, 2012).
Ci chiediamo: perché continua a camminare senza sosta, non vuole fare il bagno, non vuole essere aiutato, non dorme la notte? Scriviamo in consegna “è aggressivo”, “non collaborante”, “chiama senza un motivo”. “Fa così perché ha la demenza” è una risposta che appartiene ad una cultura che ristagna nello stigma. È ora invece di spalancare le porte agli studi più recenti e agli insegnamenti delle persone che convivono con la demenza.
Quando ci troviamo di fronte alla resistenza alla cura?
La resistenza alla cura avviene quando la Cura è troppo lontana dal “sentire” della persona. Solo la conoscenza profonda della persona potrà consentire l’utilizzo di parole, silenzi, musica, gesti in grado di costruire una relazione efficace – Letizia Espanoli
La definizione di “resistenza alle cure” indica un comportamento fisicamente e/o psicologicamente resistivo, ad esempio “allontanarsi dal personale, stringere gli arti, irrigidire il corpo, smettere deliberatamente o rifiutarsi di sopportare il peso durante l’assistenza, agitare braccia e gambe e obiettare verbalmente alle cure usando parole e/o suoni.”
Mahoney et al. hanno definito il termine “resistente alla cura” in riferimento ai “comportamenti con cui le persone con demenza resistono o si oppongono agli sforzi di un caregiver.” Altri termini comunemente usati includono “rifiuto delle cure”, “comportamento resistente”, “resistenza alle cure (RTC)”, “comportamento resistente alle cure (CRB)” (Konno R, Kang HS, Makimoto K. 2012).
Uno studio condotto in Svezia ha mostrato che il 79% del personale di 86 case di cura a Stoccolma, in Svezia, ha riferito di essere stato rifiutato dai residenti e il 96,9% dei 494 infermieri in 11 case di cura norvegesi ha riferito di aver sperimentato un comportamento resistente da parte dei residenti durante l’assistenza personale (R. Konno, H.S. Kang, K. Makimoto 2012).
Essere un operatore che si relaziona quotidianamente con persone che vivono con demenza non è sicuramente facile. Ma sappiamo che le persone con demenza sentono e allora diventa veramente importante fare attenzione al loro sentire, creare delle relazioni all’interno delle quali possano stare bene. Quando si fa riferimento ai cosiddetti “disturbi del comportamento” la letteratura individua l’agitazione, l’irrequietezza, le allucinazioni, l’aggressività verbale l’aggressività fisica, l’alterazione del ritmo sonno veglia… tutti gli aspetti che probabilmente fanno sì che la demenza per rappresenti un problema. Se li consideriamo come la letteratura scientifica li ha definiti per molto tempo, resta evidente che di fronte all’idea del sintomo non c’è nient’altro che la terapia. In questo anche l’origine del nostro stato di impotenza: non poter far nulla porta alla stanchezza e allo sfinimento.
Resistenza alla cura e maltrattamento: occorre creare relazioni efficaci con le persone con demenza
Uno studio del 2012 sottolinea che i comportamenti di resistenza alle cure possono causare danni fisici e psicologici sia per i caregiver che per i residenti con demenza. I caregiver sperimentano un enorme disagio fisico ed emotivo a causa di tali comportamenti messi in atto dai loro residenti. Per i residenti tali comportamenti possono portare a malnutrizione, lesioni cutanee, disidratazione, stitichezza, perdita di peso e altri problemi di salute. Inoltre, l’incapacità di gestire i comportamenti di resistenza alle cure può causare comportamenti abusivi verbali e non verbali e danni fisici e psicologici ai caregiver. E questo a sua volta può comportare che i residenti siano inappropriatamente trattenuti fisicamente e/o medicalmente. (H. W. Potts et al. 1996)
La resistenza alla cura è “colpa” della demenza?
È così difficile credere che i miei comportamenti non sono quelli di una persona “cattiva”, “aggressiva”, e “ingestibile”, ma sono solo gli unici modi che ho per dirti “basta, questo no”, “basta così no” (Holly W. Potts, M. F. Richie, M. J. Kaas, 1996).
La comprensione, la prevenzione e una “gestione” efficaci di tali comportamenti sono fondamentali sia per gli operatori sanitari che per le persone con demenza (R. Konno, H.S. Kang, K. Makimoto 2012).
Urlare, sputare, dare pizzicotti agli operatori, rifiutare il bagno o il pasto diventano “ostacoli” nella giornata assistenziale del professionista. È importante definire i momenti topici della vita del residente rispetto ai quali si vuole migliorare la qualità (dolore fisico, contenzione fisica, contenzione farmacologica, dei comportamenti speciali, della nutrizione per la qualità della vita, di quale animazione, per quale giornata di vita, ecc.). Letizia Espanoli
La resistenza all’assistenza non è contro l’operatore, non deve essere vista come un “dispetto”, come “una brutta abitudine”, come “una mancanza di rispetto”. Essa è semplicemente un messaggio che tenta di dire all’operatore e allo staff che quella persona desidera un “come” diverso (Konno R., Kang HS, Makimoto K., 2012 ).
È proprio quando la persona con demenza fatica a dirci a parole come si sente, ciò di cui ha bisogno, cosa non tollera, cosa desidera… che cerca di farcelo capire attraverso il comportamento. Una forma di linguaggio e una normale risposta di fronte ad una situazione complessa. Dobbiamo sempre chiederci che cosa faremmo noi o come reagiremmo in una situazione simile. Che cosa faremmo se ci trovassimo in un luogo con tutte le porte chiuse? Se qualcuno ci dicesse continuamente cosa dobbiamo fare o non fare? O se fossimo convinti che durante la notte c’era una persona in casa?
Molto spesso questi comportamenti speciali di reattività, di resistenza all’assistenza nascono proprio nei momenti nei quali si chiede alle persone con demenza di compiere delle azioni o le si vuole aiutare nel fare delle cose e in quel momento non vogliono. Il momento dell’igiene al mattino, del bagno o il cambio del panno. Abbiamo in mente che a mezzogiorno e mezzo bisogna mangiare, che prima del pasto bisogna prendere la pastiglia, che dopo pranzo si deve andare a riposare, ecc. Il fare diventa in qualche modo l’elemento predominante che soffoca la consapevolezza e toglie attenzione ad una relazione di reciprocità.
Da dove partire per comprendere i comportamenti della persona con demenza e creare quel “come diverso” che permette di costruire qualità di vita per tutti?
Dobbiamo imparare a partire prima di tutto dal costruire una relazione molto rispettosa capace di ispirare ad avere voglia di vivere insieme un momento di valore, ciò che è opportuno per il benessere della persona. Comincia guardando la persona negli occhi, chiamandola per nome, poi avvicinandoti con un sorriso gentile e con una voce calma e accogliente proponi la tua intenzione, chiedi il permesso.
Anche quando noi pensiamo che la persona sia persa nel suo mondo, siamo convinti che non capisca, quando non risponde a tono, essa è presente a sé stessa, al suo mondo e soprattutto è presente alle proprie emozioni. L’incapacità di esprimere queste emozioni, data dalla malattia, porterà la persona a quei comportamenti che noi consideriamo “disturbanti, aggressivi, violenti – Letizia Espanoli
Dobbiamo conoscere e imparare a usare in modo sapiente la storia di vita della persona con demenza
Gli studi scientifici ci dicono che la conoscenza della storia di vita ci aiuta a comprendere il significato delle espressioni comportamentali della persona che vive con demenza (Rasin & Kautz, 2007). Ad esempio, per essere in grado di identificare e affrontare trigger che provengono dal passato rispetto ad espressioni comportamentali angoscianti (Landerville et al. 2005).
Approfondire la biografia ci permette di diventare più capaci di anticipare e affrontare in modo proattivo i bisogni fisici, emotivi, psicologici, sociali, professionali, culturali e spirituali della persona. Vari bisogni insoddisfatti legati alla storia psicosociale della persona possono spesso innescare espressioni comportamentali angoscianti e dannose (Whall & Kolanowski, 2004).
È importante sapere a chi o a cosa la persona tiene particolarmente (Kivnick, 1993) e usare questa conoscenza per creare relazione, sostenere emotivamente, coinvolgere la persona in modo significativo e offrire la cura personale. Dobbiamo conoscere le paure della persona e fare ogni sforzo per evitare situazioni, conversazioni, attività e compiti di cura che possono scatenare tali paure.
Conoscere i dettagli della storia di vita di una persona con demenza è fondamentale. Nella Casa per anziani in cui lavori, viene raccolta in modo approfondito e con accuratezza, condivisa con tutti i professionisti? Dove viene custodita per poterla consultare e aggiornare costantemente?
Oltre la malattia c’è la persona con la sua identità e dignità
Conoscere la storia di vita ci permette di vedere sempre la persona al di là della sua diagnosi e di diventarne i garanti della sua identità e dignità, di personalizzare la cura.
La raccolta e un utilizzo sapiente della biografia (biografia: la narrazione della storia della persona attraverso le parole dei familiari/carepartner) e dell’autobiografia (la narrazione della storia della persona attraverso le proprie parole) diventa una skill necessaria al Professionista della Cura e della Relazione per un allenamento quotidiano nel diventare sempre più capace di relazionarsi con la persona, da “uomo a uomo”. La storia di vita deve vivere nei gesti quotidiani della cura ed è il faro per creare insieme la miglior giornata di vita di ogni residente per evitare la resistenza alla cura, rispondere ai bisogni e realizzare desideri:
- il risveglio naturale
- come mi piace avere cura di me (l’igiene, il bagno o la doccia gentili)
- ci sono abitudini per me fondamentali
- la colazione mi piace così
- desidero vivere il movimento
- le esperienze per me di valore nella mia giornata di vita sono
- ho bisogno anche di momenti di riposo
- in famiglia eravamo in
- mi piacciono gli incontri, ma anche i momenti di privacy e silenzio
- la mia musica preferita è
- se mi accompagni a letto alle 7 di sera
- questo proprio non mi piace, ti prego di evitarlo
- …
Sono state pubblicate diverse revisioni sistematiche della letteratura sulla natura e la gestione dei comportamenti correlati alla demenza. Tali revisioni hanno affrontato argomenti tra cui l’igiene nelle strutture residenziali per anziani, il comportamento aggressivo nei confronti dei caregiver, gli effetti terapeutici della musica e del canto, l’uso di interventi musicali preferiti durante i pasti, l’assistenza infermieristica correlata all’alimentazione e una revisione degli interventi per promuovere l’assunzione nutrizionale orale di persone anziane con demenza e difficoltà di alimentazione (R. Konno, H. S. Kang, K. Makimoto, 2012).
Osservare, scrivere in modo oggettivo in consegna, contestualizzare la risposta del residente in una situazione di cura specifica come l’igiene orale o l’ora dei pasti, come dimostrano gli studi, permette di trovare in team strategie, modalità differenti ed efficaci per le persona con demenza rispetto alle diverse attività di cura quotidiana.
La gentilezza nella relazione: antidoto per la resistenza alla cura.
I problemi complessi che i comportamenti speciali aprono ai nostri occhi sono disordinati, instabili, imprevedibili, confusi e non arrivano con le risposte giuste, ma solo con i migliori tentativi. Questi problemi richiedono nuove soluzioni, create appositamente per le circostanze e per quella persona – Letizia Espanoli
Non è il gesto da solo che crea cura, ma la relazione nella quale il gesto si inserisce: l’umiliazione che si fa percepire attraverso i gesti di cura, aumenta i comportamenti speciali.
Oggi i ricercatori mettono in evidenza che i comportamenti speciali delle persone con demenza sono una forma di intelligenza, sono il loro migliore tentativo di affrontare la vita con la malattia e di adattarsi alla situazione che nel qui ed ora stanno vivendo. Il loro comportamento, anche la resistenza alla cura, è un linguaggio unico e speciale con cui cercano di comunicarci il loro sentire rispetto a qualche cosa che accade anche rispetto al nostro modo di essere loro accanto.
Possiamo allenarci a:
- avere cura delle nostre emozioni
- controllare il tono della nostra voce
- rispettare lo spazio personale (il termine “non conformità” è stato usato in uno studio che si riferisce alla “resistenza alla cura” che ha preceduto il comportamento fisicamente aggressivo che si verifica in risposta all’invasione dello spazio personale del residente – R. Konno, H. S. Kang, K. Makimoto, 2012)
- coinvolgere la persona in ciò che la riguarda (“parla con me e non di me”)
- evitare di dare ordini
- evitare voci, movimenti fuori dal campo visivo
- offrire contatto con gentilezza e presenza (e non con frettolosità)
- cambiare le nostre modalità
Imparare a utilizzare la storia di vita è fondamentale per creare quel ponte speciale per una relazione di reciprocità sempre possibile. Per fare in modo che ci siano nella quotidianità quei dettagli importanti, dobbiamo diventare sempre più capaci di scoprire il punto di vista della persona con demenza.
APPROFONDIMENTI
- Alzheimer: il palazzo dei bisogni e dei desideri come strumento per la cura.
- Nella cura la dignità è il risultato delle idee e delle azioni dell’organizzazione e dei suoi operatori, approfondisci qui
- La persona con demenza è presente a sé stessa, al suo mondo e soprattutto è presente alle proprie emozioni
- Da operai dell’assistenza possiamo divenire artigiani della cura
- I danni della contenzione fisica e farmacologica ai residenti, ai professionisti ed alle famiglie
- I primi passi per costruire interazione: parole e gesti nella relazione
- La prescrizione per tutti coloro che lavorano in ambito socio-sanitario: la parola che cura
- Trasforma le sfide in opportunità con un semplice “grazie”
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