RSA: costruire relazioni di fiducia con le famiglie

RSA gentili: il processo di accoglienza per la Buona cura
Uno dei punti chiave del Manifesto delle RSA gentili riguarda la relazione con le famiglie. Ma qual è l’inizio della relazione con la famiglia di un nuovo residente?
Per i familiari, la scelta di una residenza per il proprio caro, rappresenta un cambiamento enorme, una transizione che porta con sé aspettative e timori. È un viaggio emotivo intenso e spesso doloroso, segnato da preoccupazioni, ansie e un profondo senso di responsabilità. Affidare la cura di un genitore, un coniuge, un familiare ad altre persone, può scatenare un vortice di emozioni, dall’impotenza alla tristezza, dalla frustrazione alla speranza.
Quando l’accoglienza è per il residente e la famiglia un’esperienza positiva e gratificante, si stanno costruendo le basi per nutrire sentimenti di fiducia e disponibilità a ridefinire continuamente progetti con uno sguardo di speranza al futuro.
Implementare nell’organizzazione un processo di accoglienza di valore per il residente, per la sua famiglia e per il personale è fondamentale. Di seguito esploreremo come cominciare a crearlo in 10 passi.
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Sgretolare pregiudizi e stereotipi nella relazione con le famiglie
La famiglia non è un disturbatore (potresti pensarlo quando ritieni che il familiare stia mettendo in dubbio le competenze e l’integrità del personale se osserva e commenta le azioni degli operatori), né incontentabile (ad esempio se ritieni che ogni volta che viene in visita, non fa altro che notare che i capelli del proprio caro non sono pettinati perfettamente, che le unghie non sono limate come dovrebbero o che la maglia ha una macchia di caffè o di cibo).
Accogliere la famiglia significa accompagnare ogni professionista nel riconoscere pregiudizi e stereotipi per poterli destrutturare, con lo scopo di comprendere le preoccupazioni dei familiari e coinvolgerli in modo costruttivo nel percorso di vita e di cura del residente. Secondo un report di Alzheimer’s Society, le RSA capaci di coinvolgere attivamente le famiglie riducono i conflitti del 45% e migliorano il benessere emotivo dei residenti (Alzheimer’s Society, 2007).
Come sgretolare i pregiudizi? Inizia a portare in campo queste tre azioni:
- organizzazione, a cura di direttori e coordinatori, di momenti di riflessione mensile con tutto il personale per comprendere e riconoscere quali sono i pregiudizi che il team ha rispetto alle famiglie; stilando un elenco di pregiudizi; chiedendosi che relazione si sta creando con la famiglia, come diventare capaci di accoglierla e sgretolare il pregiudizio;
- utilizzo del diario di consapevolezza, in cui ogni collaboratore annota situazioni in cui ha riconosciuto o superato i propri pregiudizi;
- invito di un esperto esterno per condurre una formazione sull’inclusione e il superamento degli stereotipi.
Si deve creare una metodologia per superare gli stereotipi. Abbiamo lavorato molto in questi anni sugli stigmi e sugli stereotipi rispetto alle persone anziane, ma è arrivato il tempo di lavorare anche sugli stereotipi e gli stigmi che abbiamo rispetto alle famiglie – Letizia Espanoli
Dall’ingresso all’accoglienza
Nel contesto della Casa per anziani in cui lavori, “si fanno gli ingressi”? Come si sente un operatore quando in team viene comunicata la “presa in carico” di un nuovo “ospite” o viene incaricato di “occuparsi di un nuovo ingresso”? La percezione potrebbe essere quella di un compito formale, privo di un reale impatto umano, che fa sentire il professionista distante dal processo di cura e conduce a ridurre un momento fondamentale a un atto burocratico.
Parole e atteggiamenti contano: non si tratta solo di semantica. Offrono una prospettiva migliore rispetto a ciò che si vuole raggiungere, a ciò che si fa accadere, all’intenzione trasmettere un senso di calore e rispetto.
Parlare di una “procedura di accoglienza” piuttosto che di “ingresso” (uno spazio della casa) fa la differenza. Accogliere significa creare un processo di valore che dura nel tempo, per il residente, per la famiglia, per i professionisti. All’interno di un chiaro processo di accoglienza, l’operatore si sente valorizzato, consapevole e responsabile del suo ruolo cruciale nell’avere a cuore i residenti e le loro famiglie.
La letteratura scientifica mette in evidenza che gli anziani accolti nelle nostre Case hanno un alto tasso di mortalità nei primi sei mesi (Noha Ferrah, J. Ibrahim, C. Kipsaina, L. Bugeja, 2018). Questo ci indica che potrebbe essere il periodo di tempo di adattamento della persona e, per il team insieme alla famiglia, di costruzione di azioni concrete di accoglienza e di valutazione rispetto a come le persone si sentono.
Costruire un processo di accoglienza inizia con queste azioni:
- scegliere un linguaggio gentile ed efficace condiviso che faccia sì che tutti come squadra utilizzino parole in grado di esprimere calore;
- creare un documento scritto che descriva cosa il team intende per accoglienza da condividere tutto il personale.
Rendere memorabile l’accoglienza
L’accoglienza deve essere un momento indimenticabile. Come farlo accadere considerando che anche la famiglia può avere determinate percezioni o credenze rispetto alle RSA? Ad esempio potrebbe avere dubbi sulla trasparenza e l’integrità dell’organizzazione e del personale, avere la preoccupazione che il proprio caro non riceva cure adeguate o dignitose.
Se chi ben comincia è a metà dell’opera, allora per costruire fiducia con la famiglia sarà importante partire offrendo un’accoglienza memorabile. Questo significa sorprendere la famiglia con cose belle e inaspettate, trasmettendo un’identità di cura di valore. Inutile scriverlo nella carta dei servizi, se non viene applicato nella quotidianità. L’accoglienza non è un documento fine a se stesso, deve essere resa concreta, declinandola attraverso azioni precise.
Personalizzare l’accoglienza.
Rendere memorabile l’accoglienza vuol dire non solo creare delle cose belle, ma anche personalizzate. Quali possono essere?
- Uno spazio dedicato: una zona riservata per il primo incontro, decorata con foto, oggetti o fiori per rendere speciale il momento;
- una lettera di benvenuto personalizzata per ogni nuovo residente, firmata dal team;
- una piccola cerimonia di benvenuto con la partecipazione degli altri residenti e delle famiglie;
- un dono speciale: un quaderno per i ricordi, una piccola pianta possono diventare un vero e proprio progetto (uno studio ha dimostrato che i residenti che hanno maggiore controllo e responsabilità si sentono più attivi, felici e in salute, Langer E.J., Rodin J. 1976)*.
Un dono di valore quindi può essere molto più di un gesto di benvenuto. Significa avere un progetto educativo e terapeutico che consente agli anziani di sentirsi protagonisti e di avere un ruolo attivo nel proprio ambiente di vita.
Un quaderno per r-accogliere la storia di vita.
Il dono all’accoglienza del quaderno per i ricordi (potrebbe essere un progetto a cura degli educatori) è pensato come dono che diventa un ponte tra la vita passata del residente e la nuova quotidianità. Pagine di vita che permetteranno a residenti e famigliari, insieme ai professionisti della cura, di custodire e creare insieme nuove memorie.
- Raccolta di memorie: le prime pagine del quaderno possono essere dedicate a raccogliere momenti significativi del passato del residente. Qui i familiari possono scrivere storie, inserire fotografie, disegni o altri ricordi che rappresentino momenti importanti della vita del loro caro.
- Momenti attuali: le pagine successive possono essere utilizzate per documentare le esperienze che il residente vive in Casa (il racconto di feste di compleanno, visite dei familiari, incontri con amici e amori che sbocceranno …). Spazio per i messaggi della famiglia: il quaderno può diventare uno spazio speciale in cui i familiari possono lasciare messaggi o pensieri positivi per il residente, creando un senso di vicinanza emotiva.
L’obiettivo è far percepire che la vita in RSA può essere arricchita da nuovi ricordi e momenti significativi. Il quaderno diventa uno strumento in cui è possibile continuare a documentare la storia di vita del residente insieme alla famiglia, continuando a scrivere nuove pagine di vita.
L’idea è di raccogliere la vita che continua a esistere in residenza, perché questo è il messaggio che desideriamo fare arrivare all’accoglienza. Immaginate gli anni di vita raccolti in questo quaderno e, al momento del decesso, poterlo donare alla famiglia come un tesoro prezioso. È emozionante pensare quale meraviglioso ricordo sarà per la famiglia avere qualcosa che ha saputo raccontare tutto questo.
Creare un Kit di benvenuto
Cosa potrebbe fare accadere avere un kit di benvenuto ben pensato? Per le famiglie vedere che il proprio caro viene accolto con accuratezza, diventa il segno tangibile di cura, calore e professionalità, aiutando a costruire una relazione di fiducia con la struttura. Può permettere di ridurre l’ansia nel momento dell’accoglienza e far sentire il residente più accolto e considerato.
Come si può implementare nel processo di accoglienza? Sarà importante:
- coinvolgere il team: coinvolgere anche il personale nella preparazione del kit (ad esempio, i volontari potrebbero aiutare a decorare i vasi delle piante o a preparare i quaderni). Questo contribuisce a creare un senso di comunità e condivisione all’interno della struttura;
- feedback: dopo il primo mese, chiedere alla famiglia e al residente un feedback sul kit di benvenuto per capire se ci sono elementi che potrebbero essere migliorati o adattati per accogliere in futuro altre persone.
Diventando più intenzionali (chiedendosi che cosa si vuol fare accadere e costruendo azioni di valore) e più coordinati, è possibile creare un processo di accoglienza di grande valore per tutti.
L’importanza degli spazi.
Creare uno spazio accogliente significa anche ricordare che le pareti dell’ambiente riflettere l’identità e i valori dell’organizzazione: esamina ogni dettaglio dell’area ingresso, i colori, le immagini, i profumi, suoni. Ed è importante ricordare che l’ambiente umano siamo noi con il nostro tono di voce, sorriso e linguaggio del corpo.
Ogni dettaglio dovrebbe trasmettere accoglienza e cura.
Come procedere per avere cura dell’ambiente:
- organizzare, ogni sei mesi, una giornata di “camminata in struttura” per verificare insieme (direttore, coordinatore e responsabile delle attività assistenziali) se gli spazi comunicano accoglienza, identificando le aree che possono essere migliorate;
- creare una parete nell’area di accesso alle comunità che racconti chi sono le persone che operano nell’organizzazione, che possa far comprendere il senso del lavoro del team per i residenti. Questo spazio può mostrare i volti e l’identità degli operatori, creando un impatto positivo e significativo, raccontando “chi siamo” come persone, come professionisti e come team. Una “cornice” accurata e di grande valore per la famiglia;
- creare fiducia con il singolo operatore: perché può essere tanto importante? Uno degli errori comuni quando si cerca la fiducia della famiglia è pensare che il nome dell’organizzazione sia sufficiente. Spesso non è così. La famiglia tende a fidarsi non dell’istituzione, ma prima di tutto delle persone che vi operano. Grazie a un bias cognitivo, se la famiglia ha fiducia in una persona, estenderà poi questa fiducia anche ad altre persone;
- coinvolgere i residenti nella scelta di elementi decorativi per rendere gli spazi più familiari;
- avere cura dei “toni”: l’accoglienza non è fatta solo di parole, ma anche di toni di voce, sorrisi e linguaggio del corpo. Ad esempio è importante chiedersi: chi apre il cancello, con quale tono di voce dà il benvenuto alla famiglia? chi è alla reception con che tono di voce indica alla famiglia in quale ufficio andare? Diamo o no la mano? Reduci dal covid, è come se oggi questo gesto sia stato dimenticato. È tempo di restituire alle nostre sinapsi la capacità di quei gesti pro-sociali fondamentali, stringiamo la mano dicendo “Ben arrivato, piacere. Diventa fondamentale creare un programma di formazione sul linguaggio del corpo e sull’uso del tono di voce per il personale, includendo esercitazioni pratiche
Chi accoglie la famiglia?
È fondamentale definire quale figura professionale accoglie la famiglia. Non può essere affidato al professionista che il giorno dell’accoglienza è presente in turno, o prevedere che siano più professionisti ad accogliere la famiglia, pensando di fare cosa gradita. Il rischio è che, più persone vengono fatte incontrare il primo giorno alla famiglia, maggiore sarà la confusione percepita.
La prima persona che la famiglia incontra crea un’immagine duratura. Qual è allora la figura professionale che per prima deve incontrare il familiare? Potrebbe essere una figura organizzativa, il coordinatore o il responsabile assistenziale, che garantisca coerenza e continuità alle famiglie e rimanga il loro punto di contatto e di riferimento.
Oltre a definire chi è la figura dedicata all’accoglienza della famiglia, sarà importante pianificare, per il primo o i primi due mesi, momenti settimanali di un quarto d’ora, con il familiare per raccontare come sta il suo caro, cosa si è fatto accadere e in cui il familiare possa condividere cosa ha osservato, come si sente, che disagi ha vissuto. Incontrare e investire un tempo di valore con le famiglie porterà a straordinari risultati.
Le azioni quindi sono:
- definire chiaramente la figura di riferimento per le famiglie durante l’accoglienza e garantire che questa persona sia ben formata;
- assicurare continuità nel primo mese, programmando incontri settimanali con la famiglia e la figura professionale punto di riferimento.
La raccolta biografica
Non si può creare una cura personalizzata senza conoscere la storia di vita della persona. Se si vuole davvero creare un progetto di vita personalizzato e far sentire alla famiglia che si ha a cuore la persona che ci sta affidando, sarà importante pensare l’incontro dedicato alla raccolta biografica con accuratezza, con la conduzione da parte del coordinatore e grazie a domande capaci di andare oltre i dati clinici attraverso uno strumento prezioso: il questionario emozionale e narrativo.
Attua questi passi:
- crea un modulo per la raccolta biografica, che permetta al coordinatore di avere un faro nella conduzione dell’incontro dedicato per andare oltre i dati clinici, includendo passioni, abitudini, desideri;
- pianifica un incontro dedicato alla raccolta biografica con ogni nuova famiglia, in modo che il coordinatore abbia tutto il tempo per conoscere il residente;
- organizza una sessione di condivisione delle biografie raccolte con il team, per personalizzare la cura e la giornata di vita di ogni residente.
Pianificare l’incontro con la famiglia per raccogliere la storia di vita non serve solo a conoscere il residente, ma anche a comprendere le emozioni della famiglia rispetto alla loro storia. Accogliere senza pregiudizi la storia di vita significa non cercare una verità assoluta, ma riconoscere le emozioni dei familiari. L’incapacità di accogliere anche l’emozione del familiare rispetto a quella storia, riconducono a pregiudizi e stereotipi.
L’accoglienza e l’uso del questionario emozionale e narrativo diventano essenziali per pianificare con cura i momenti del fine vita, rendendoli preziosi e significativi.
Il giorno dell’accoglienza si è artisti di quell’incontro. Poi si diventerà artisti della vita e del fine vita. E non c’è fine vita di valore che non nasca dall’accompagnamento al portare a compimento i desideri – Letizia Espanoli
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Mappa delle relazioni e possibilità
Nel processo di accoglienza è cruciale creare insieme alla famiglia una mappa delle relazioni (amici, familiari, operatori) e delle possibilità, includendo chi è importante per il residente nella cura.
Ad esempio alcuni operatori instaurano relazioni speciali con i residenti. Questo non diminuisce il valore degli altri. Ma in situazioni complesse, come la morte di un familiare o la resistenza al bagno, personalizzare la cura significa lasciare che quell’operatore stia accanto al residente, perché può riuscire a creare serenità, dissolvere disagio e permette al team di trovare soluzioni efficaci.
Procedi nel:
- disegnare una mappa delle relazioni per ogni residente, da aggiornare regolarmente e condividere con il team;
- coinvolgere la famiglia nel processo di creazione della mappa, identificando persone chiave e relazioni importanti per il benessere del residente;
- sviluppare esperienze specifiche in base alle passioni e relazioni del residente, facilitando il coinvolgimento delle persone care.
La famiglia coinvolta nel disegnare una mappa delle relazioni, comprenderà subito che insieme si stanno costruendo azioni straordinarie verso la Buona Cura.
La mappa delle relazioni è fondamentale anche per il processo delicato del viaggio verso il fine vita che dobbiamo imparare ad avere a cuore con sempre più attenzione. Personalizzare la cura vuol dire anche sapere chi il residente non vuole avere vicino e chi invece desidera avere accanto e fare in modo che questo possa accadere.
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Condividere la roadmap
Condividere una panoramica chiara rispetto ai passi che la famiglia vivrà con il team, accompagnerà a ridurre la complessità percepita e potrà offrire la visione della progettualità di accoglienza, di vita e di cura che si desidera garantire.
Sperimenta questi step:
- crea una “roadmap” visiva che descriva alle famiglie e ai residenti i prossimi passi e i servizi disponibili;
- organizza un incontro di orientamento per le famiglie durante il primo mese, spiegando: a chi la famiglia può rivolgersi e quando, come la famiglia verrà coinvolta nel tempo, come vengono offerte le pratiche assistenziali, quali esperienze vengono offerte, lasciando spazio alle domande affinché le famiglie possano chiarire i loro dubbi;
- crea una guida in cui vengono elencate le principali attività, i servizi e come la famiglia può essere coinvolta, in formato digitale e cartaceo.
Cosa succede quando questa mappa non è chiara?
Quando le famiglie non sanno a chi rivolgersi, rivolgono domande a chiunque e potrebbero ricevere risposte non coerenti o non approvate dagli altri operatori. Allo stesso modo, anche gli operatori possono avere dubbi sulle domande a cui possono dare risposta o rispetto a quali devono indirizzare i familiari ad altre figure professionali.
Per evitare confusione, è cruciale definire una chiara mappa delle figure di riferimento. Inoltre sarà importante che il coordinatore offra la possibilità di essere contattato. Non si tratta di stabilire degli orari, ma di definire disponibilità reali. Se queste non vengono indicate, le persone immaginano che le figure organizzative siano sempre pronte a fornire risposte alle famiglie. Se un familiare si rivolge al coordinatore mentre è impegnato in altre attività, probabilmente in quel momento potrebbe ricevere una risposta non completa. Il rischio per il coordinatore sarà quello di fornire una risposta frettolosa e poco efficace a scapito della percezione di cura della famiglia.
Fare chiarezza all’interno dell’organizzazione rispetto a questo aumenta l’efficacia del lavoro e permette di raccontare alle famiglie come si è arrivati a costruire questa roadmap, come e dove è possibile avere momenti di dialogo e di confronto.
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Feedback a un mese dal giorno dell’accoglienza
Oltre ai brevi feedback settimanali con la famiglia nel primo periodo di accoglienza, è fondamentale definire un incontro programmato dopo un mese di permanenza del residente per rivedere l’esperienza iniziale e raccogliere impressioni.
Crea una situazione confortevole in cui il familiare possa sentirsi a proprio agio, magari davanti a una tazza di tè, e un tempo più ampio per raccogliere impressioni approfondite. Un’idea efficace è quella di preparare un breve questionario da proporre con lo scopo di accompagnare il familiare a riflettere su come si sente e come sta vivendo l’esperienza.
Questi strumenti devono essere “cuciti” su misura per rispondere alle esigenze specifiche delle famiglie. Un questionario a un mese dall’accoglienza deve essere capace di restituire un quadro chiaro di ciò che si è riusciti a fare accadere in quel primo periodo di tempo. Grazie ai feedback che noi riceveremo, potremo condividere i risultati con tutto il team e andare ad adattare e migliorare continuamente il processo dell’accoglienza.
Quando questi strumenti vengono portati in campo, spesso le famiglie raccontano anche tutte le cose belle che vedono rispetto agli operatori. Condividere questi apprezzamenti con i professionisti è prezioso. Tutti gli elementi di gratitudine che una famiglia esprime al coordinatore e alla direzione devono essere condivisi con gli operatori, perché sono fonte di grande motivazione. Sapere che il nostro lavoro ha un senso e ricevere apprezzamento per gesti di valore ci rende ancora più felici e disponibili a dare il massimo.
Quindi:
- programma un incontro formale un mese dopo l’accoglienza per raccogliere feedback dal residente e dalle famiglie;
- prepara un breve questionario di valutazione per facilitare la condivisione;
- utilizza i feedback ricevuti per adattare e migliorare il processo di accoglienza, condividendo i risultati con tutto il team.
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Autenticità e responsabilità
Per creare fiducia la famiglia ha bisogno di tre ingredienti essenziali: onestà, trasparenza e comunicazione autentica. Anche nei momenti difficili, anche dove possono esserci errori e nella proposta di soluzioni.
La relazione con la famiglia deve essere sempre autentica e responsabile. Dobbiamo prestare attenzione a ogni dettaglio e avere a cuore ogni oggetto del residente: ogni dentiera persa, ogni vestito, ogni piatto servito che non corrisponde ai gusti del residente. Avere a cuore significa non sbuffare quando un familiare esprime dispiacere nel vedere una macchia di caffè sull’abito del proprio caro. L’unica risposta sensata da parte di chiunque, dall’operatore al direttore, dovrebbe essere: “Mi dispiace, abbiamo provato a toglierla ma non ci siamo riusciti. Tra mezz’ora riproveremo, vuole provare insieme a noi? Magari lei ci riesce.”
Alcuni esempi per evitare di far crollare la fiducia con la famiglia:
- se viene persa una dentiera, è inutile fornire giustificazioni. Bisogna chiedersi perché accade, quante dentiere vengono perse, quali procedure sono in atto per la cura del cavo orale. Questi aspetti devono essere curati nei processi organizzativi per poter dare risposte autentiche;
- se la lavanderia non sa come trattare un maglione di cashmere, è importante informare immediatamente la famiglia all’accoglienza, spiegando che la lavanderia non si occupa di questi capi. Non si può dire che viene lavato e poi restituirlo infeltrito, dispiacendosi. Le responsabilità devono essere assunte e non negate.
Se una famiglia chiede qualcosa, non va etichettata come “richiestiva.” Semplicemente ama il proprio caro e desidera il meglio. Dobbiamo abbracciare questa logica di autenticità e responsabilità, aiutando gli operatori ad accogliere quanto riferito dai familiari. Ad esempio, se un familiare chiede se il proprio caro ha mangiato, la risposta non può essere “Non lo so, oggi non ero in turno.” Il familiare non può sentirsi dire “Non lo so.”
Se è stato spiegato cosa sono le consegne e che l’oss a inizio lavoro legge le consegne del turno precedente, la risposta può essere: “non ho ancora letto le consegne, le vado a leggere e tra cinque minuti la vengo a cercarla per farle sapere.”
Dare una risposta significa avere a cuore.
Se si vogliono costruire delle relazioni di fiducia con la famiglia, dobbiamo avere a cuore tutto questo:
- incoraggia il personale a comunicare in modo autentico, anche quando ci sono difficoltà, offrendo soluzioni concrete ai problemi;
- organizza riunioni settimanali di team per discutere le difficoltà incontrate e trovare soluzioni condivise;
- crea un “codice di trasparenza” da seguire durante tutte le comunicazioni con le famiglie, per garantire onestà e responsabilità.
Ricorda che la procedura di accoglienza racconta chi sei ed è lo specchio dell’identità della cura della tua RSA. Se vuoi che diventi sempre più accogliente e rispettosa, ogni dettaglio della procedura deve far respirare questa intenzione. Le procedure riflettono le idee, i valori e le azioni di cura; le strutturiamo per condurci nell’impegno di seguire processi accurati.
Un processo di accoglienza delle famiglie ben strutturato instaura fiducia e rafforza anche il legame tra famiglie, residenti e personale, fondamentale per misurare la qualità della vita. Migliori sono le relazioni interne tra famiglie, residenti e personale, più si starà bene nella tua RSA.
Ripercorri ora questi 10 punti. Scegli a quale dare priorità e dedica 3-4 mesi per svilupparlo e perfezionarlo, poi prendi a cuore il successivo e lavora con il tuo team per portarlo all’eccellenza.
Articolo tratto dal webinar di approfondimento del Manifesto della RSA Gentile promosso da Editrice Dapero, Alleniamo il gioco di squadra con le famiglie con Letizia Espanoli e Giusi Perna.
APPROFONDIMENTI
Alleniamo il gioco di squadra con le famiglie: guarda il webinar
Dar casa al tempo fragile – Ennio Ripamonti, Letizia Espanoli, Editrice Dapero
La gentilezza nelle relazioni di cura, Letizia Espanoli con Francesca Zedda, Editrice Dapero
Pianificazione strategica in RSA: la bussola verso la qualità della vita
La biografia e l’autobiografia come antidoto ai maltrattamenti in strutture residenziali per anziani
L’identità di cura diviene il valore che la Casa vuol dare alla propria cura e ne declina le caratteristiche.
* Lo studio di Ellen J. Langer e Judith Rodin del 1976 è molto famoso nel campo della psicologia gerontologica. Hanno condotto un esperimento in una casa di riposo per esaminare gli effetti della percezione di controllo e responsabilità sui residenti anziani. I residenti sono stati divisi in due gruppi. Un gruppo è stato incoraggiato a prendere decisioni quotidiane, come prendersi cura di una pianta, decidere quando e quanto annaffiarla, e fare altre scelte personali. L’altro gruppo, invece, è stato informato che il personale dell’RSA si sarebbe occupato di queste cose. Dopo 18 mesi, i risultati hanno mostrato che i residenti che avevano avuto maggiore controllo e responsabilità si sentivano più attivi, felici e in salute rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, la mortalità era significativamente più bassa nel gruppo con maggiore controllo e possibilità di scelta. (Langer EJ, Rodin J. The effects of choice and enhanced personal responsibility for the aged: a field experiment in an institutional setting. J Pers Soc Psychol. 1976 Aug;34(2):191-8. doi: 10.1037//0022-3514.34.2.191. PMID: 1011073).