Alzheimer e contenzione: da operai dell’assistenza ad artigiani della cura 3/5
Cosa accade nel cuore e nella mente dei professionisti socio sanitari che vengono chiamati a “contenere”? Cosa accade quando “senti” che quel gesto non lo condivi perché “non cura”? Cosa accade quando ascolti tutto il giorno Antonio mentre urla e muove la contenzione sul bacino”Aiuto, aiuto, liberatemi”? Cosa accade quando la sera, insieme alla buona notte applichi quella cintura a letto, oppure le sponde mentre Maria ripete “No, no, no”
Accade che qualcosa si rompe dentro: tu, che avevi scelto questo lavoro per prenderti cura, fatichi a guardarti allo specchio perché sempre di più ti senti “soldato” in un mondo che non sempre ti chiede di pensare, ma troppo spesso di “obbedire”. Obbedire alla prescrizione. Anche se non discussa nel progetto di assistenza individualizzata, anche se non sono state pensate dal team le alternative e le possibilità, anche se nessuno ha ascoltato la tua idea di poter fare in modo diverso (anche se l’hai scritta nelle consegne). E’ un lento viaggio verso il gesto maltrattante, verso la mentalità del “perché si deve fare, lo si fa tenendolo fermo in tre”, verso quel rendere il sé professionale un meccanico robot di cure, un lento sprofondare nell’impotenza. E’ di questo che mi occupo spesso con le direzioni delle residenze per anziani. Perché il gesto che libera l’anziano, libera l’organizzazione dalla fatica dello stress della cura inumana, meccanica. Quella che gli oss spesso chiamamo “la catena di montaggio dell’assistenza con i suoi operai”.
1. Emozioni negative (tristezza, colpa, dilemma etico, compassione)
2. Conflitto tra il proprio operato e i diritti della persona
3. Sensazioni di sicurezza per aver fatto il proprio lavoro o mancanza di sensazione (cioè un agire meccanico/automatico rispetto alle contenzioni)
E’ importante dunque sostenere una formazione esperienziale per tutti i professionisti che porti allo scoperto ogni vissuto attorno al tema, ma soprattutto inizi, in modo innovativo a formare le persone attorno al “perché” più profondo sia importante creare processi di cura in grado di accendere la libertà della persona, come essenza fondamentale e imprescindibile della cura. Insieme ai professionisti chiediamoci perché conteniamo e successivamente perché potremmo coltivare la costruzione di una identità della cura che contempli possibilità alternative alla contenzione.
Diventa poi strategico ed importante chiederci “come” potrebbe essere possibile questo (se una delle motivazioni che dichiariamo è la paura della caduta e delle sue responsabilità penali, se la relazione con le famiglie traballa in termini di fiducia comprendiamo che la soluzione va costruita in un come più amplio, più profondo e radicale che inizia a chiedersi “chi e come” è responsabile di costruire relazioni efficaci con le famiglie, come questa persona è stata formata, quali strumenti utilizza con coerenza e metodo per arrivare a questo risultato).
Solo dopo diventa possibile riflettere sul “che cosa” ovvero cosa concretamente agire quotidianamente per allenare il team a fare ricorso raramente alla contenzione fisica e farmacologica (perché la contenzione farmacologica somministrata al residente il giorno del bagno rappresenta per me uno degli atti più crudeli e meno terapeutici che io conosca)
Ecco allora che la contenzione fisica e farmacologica sono la grande sfida delle equipe e si concretizzano in pensieri nuovi, piste di riflessioni e formazione innovativa. Fino a non molto tempo fa si ritenevano i problemi di comportamento (ansia, agitazione motoria, vagabondaggio, aggressività fisica, aggressività verbale, ecc.) sintomi della malattia di Alzheimer o della demenza. L’operatore nulla poteva verso questo manifestarsi della malattia ed in assenza di farmaci curativi, si è ritenuto che l’approccio non potesse che essere sintetizzato in una maggior contenzione farmacologica e nella contenzione fisica.
Un modo utile per trovare nuove alternative, è quello di riconoscere che la causa del comportamento spesso esiste al di fuori dell’anziano, per esempio in un ambiente che non sopporta e pertanto questo suo modo di agire non è nient’altro che un modo di ribellarsi per un bisogno non soddisfatto o non riconosciuto o una reazione a degli agenti stressanti presenti nell’ambiente. E’ dentro infatti all’albero dei comportamenti speciali che siamo sempre in grado di trovare la giusta strada per un prendersi cura di valore:
Pertanto, con l’intervento di tutti gli operatori coinvolti nell’assistenza, con l’aiuto della famiglia, con interventi sull’ambiente, il “problema di comportamento” diventa l’opportunità di crescita culturale per quella organizzazione:
- conoscenza della storia della persona per permettere ad ogni operatore una conoscenza approfondita dell’anziano e soprattutto per definire un modello assistenziale che rispetti le sue abitudini ed i suoi desideri;
- ambiente idoneo che permetta la libertà nella sicurezza e che incentivi azioni di bellezza terapeutica;
- formazione permanente degli operatori, che è di fondamentale importanza per migliorare la capacità di relazione verso le persone che vivono con demenza e le loro famiglie anche attraverso interventi di supervisione dell’equipe per la costruzione del progetto di assistenza individualizzata;
- diventare capaci di cogliere i segni del dolore fisico nell’anziano, infatti la persona non è in grado di esprimersi verbalmente e quindi di spiegare il suo dolore e cerca di farci comprendere il suo disagio attraverso un aumento dei suoi problemi di comportamento (camminare di più, urla più forti, ecc.)
- promuovere attività continue durante il giorno che possano trarre memoria nella vita passata della persona con demenza e che consentano il realizzarsi di gesti “antichi” (fare il letto, preparare la tavola, stendere la biancheria, ecc.) e nel contempo proporre attività rilassanti (prendersi cura dei capelli, delle mani, del viso, ecc.)
Il Palazzo dei Bisogni e dei Desideri descritto nel libro “Disturba chi?”, che è uno dei maggiori e migliori “manuali” per creare la strada verso la libertà, è uno strumento incredibilmente efficace attorno al quale formare i professionisti ed attorno al quale costruire la cura quotidiana. Un “come” importante che tiene conto di dettagli preziosi:
Il corso “Disturba chi?” è sempre on line per permettere a tutti i professionisti di essere guidati in questa nuova consapevolezza interiore per allenare gesti di cura capaci di “libertà”. Perché solo con la cultura potrai iniziare la concretezza di un viaggio verso la riduzione continua e incessante dell’applicazione della contenzione fisica e farmacologica. Un viaggio da operai dell’assistenza a artigiani della cura