Demenza: la vita pulsa oltre l’immobilità
Hai mai veramente riflettuto su come possa sentirsi una persona con demenza che non ha più la possibilità di muoversi in modo autonomo? Si può facilmente cadere nella convinzione che rimanga solo un involucro vuoto, privo di vita. Tuttavia, al di là dell’immobilità, pulsa ancora il battito della Vita, un grido silenzioso di Dignità.
La sfida nell’avere Cura di chi vive con demenza si trasforma. La progressione della malattia offre uno scenario diverso, dove la frenesia lascia spazio a un tempo dilatato. In questo momento, la persona non è più in grado di muoversi autonomamente. Vive molte ore a letto o seduta, vulnerabile agli effetti dell’immobilità sulla sua qualità di Vita.
Gli effetti dell’immobilità nelle persone anziane
L’immobilità può avere gravi conseguenze sulla funzionalità del nostro organismo, soprattutto negli anziani. Diversi studi hanno evidenziato gli effetti negativi nel rimanere a letto in posizione supina per lunghi periodi:
- perdita di massa muscolare: gli anziani mostrano una maggiore perdita di massa muscolare degli arti inferiori rispetto agli adulti più giovani; la potenza muscolare diminuisce proporzionalmente alla durata del riposo a letto.
- perdita funzionale: dopo soli 10 giorni di riposo a letto, gli anziani sperimentano una riduzione dei tempi di salita delle scale e di cammino; la capacità di svolgere attività quotidiane diminuisce.
- effetti Cardiovascolari: la sindrome da immobilizzazione coinvolge il sistema circolatorio; possibili complicanze includono trombosi venosa profonda, embolia polmonare, ipotensione ortostatica e capogiri;
- impatto sul sistema respiratorio: l’immobilità può causare infezioni polmonari, ristagno di liquidi pleurici e riduzione della capacità vitale;
- problemi gastro-intestinali e urinari: la ridotta mobilità porta a problemi digestivi, stitichezza, fermentazione intestinale e incontinenza fecale; le infezioni delle vie urinarie e l’incontinenza vescicale sono comuni;
- effetti sul sistema nervoso centrale: la perdita di stimoli, autonomia e contatti sociali causa rallentamento cognitivo e depressione; l’isolamento e la confusione possono peggiorare;
- lesioni da pressione e ulcere da decubito: l’immobilità prolungata può portare a lesioni cutanee dovute alla compressione dei tessuti tra la superficie di appoggio e le ossa;
- alterazioni del sonno: la sindrome da immobilizzazione influisce sul ciclo del sonno, causando insonnia e modificazioni del ritmo sonno-veglia; questo impatta notevolmente sulla qualità di vita.
Inoltre, nella fase avanzata della demenza, la fragilità globale e la sindrome da immobilizzazione sono strettamente correlate. È essenziale considerare questi fattori per garantire la migliore assistenza possibile alle persone anziane.
La Percezione di sé e l’immobilità: un’integrazione complessa per la persona che vive con demenza
Il nostro corpo è il legame con l’esistenza terrena, eppure spesso diamo per scontato la complessità dell’integrazione cerebrale necessaria per sentire e muovere questo corpo. Ogni mattina, quando ci svegliamo, il cervello crea un’immagine di noi stessi. Sappiamo che il piede destro fa parte del nostro corpo e possiamo infilarci sopra la calza. Quando ci alziamo dal letto, una rete intricata di assemblaggi neuronali nella nostra testa entra in azione. Le fibre nervose, che rilevano informazioni dai nostri sensi, costantemente segnalano la posizione di ogni singolo arto. Il sistema vestibolare, situato dietro le orecchie, ci informa sulla nostra posizione attuale, mentre gli occhi ci forniscono un orientamento visivo dell’intera stanza.
Nel 2009, Craig ha evidenziato che l’interocezione (la percezione interiore dei processi corporei), la propriocezione (la percezione inconscia del movimento, della posizione, della tensione e della postura) e l’esterocezione (la percezione dell’ambiente attraverso gli organi di senso) forniscono al cervello informazioni sulla condizione del nostro corpo. Il senso di proprietà del corpo dovrebbe essere considerato come il risultato di processi cerebrali che integrano diversi segnali sensoriali nella percezione unificata del “mio corpo”.
Complessivamente, le evidenze sperimentali suggeriscono che le informazioni visive e propriocettive contribuiscono significativamente alla percezione del nostro corpo e, in particolare, alla determinazione della sua configurazione spaziale percepita. Quando manca il movimento, perdiamo una serie di afferenze sensoriali, sia esterocettive che propriocettive, causate dalla costante posizione supina del corpo. Questo ci impedisce di distinguerci dall’ambiente circostante.
Esperienza di immobilità: riflessioni sulla percezione del corpo
Ti invito a sperimentare quanto spiegato finora con un breve esercizio. Scegli un oggetto che abbia un certo peso e che possa essere contenuto nel palmo della tua mano aperta. Potrebbe essere una gomma da cancellare, una penna o un cucchiaino. Una volta scelto l’oggetto, segui queste istruzioni:
- Siediti e prendi l’oggetto:
- Trova un posto tranquillo dove sederti.
- Appoggia la mano aperta che contiene l’oggetto scelto.
- Attiva un timer a 20 minuti:
- Imposta un timer per 20 minuti.
- Da questo momento in poi, vivi l’esperienza dell’immobilità.
- Resta immobile:
- Ricorda che non potrai muovere alcuna parte del tuo corpo.
- Nessun aggiustamento posturale è consentito, nemmeno se avverti prurito o se una mosca ti ronzasse vicino al naso.
- Non utilizzare tecniche di meditazione o respiro consapevole. Semplicemente ascolta ciò che avviene nel tuo corpo e rimani immobile.
- Dopo 20 Minuti:
- Quando i 20 minuti saranno trascorsi, chiediti: “Sento ancora l’oggetto posto nel palmo della mia mano?”
Immagina ora come potrebbe percepire il suo corpo una persona con demenza che trascorre più di 12 ore nell’immobilità. La sensazione di essere intrappolata, privata della libertà di movimento e costantemente in contatto con una superficie può essere opprimente. La perdita di stimoli sensoriali e la mancanza di interazioni con l’ambiente possono influenzare profondamente la percezione di sé e del mondo circostante.
Questo esercizio ci aiuta a riflettere sulla Dignità di chi vive con demenza e sperimenta l’immobilità prolungata. È un invito a considerare attentamente le sfide che queste persone affrontano quotidianamente e a cercare modi per preservare la loro umanità e dignità.
L’Importanza dell’ambiente nella cura delle persone con demenza
Dopo ore di immobilità, l’ambiente offre uno stimolo diverso, atteso. Immersa in quella “nebbia sensoriale”, finalmente la persona sente il tocco di qualcuno. Un contatto che ha bisogno di essere colmo di gentilezza e delicatezza, grazie al quale la persona può sentirsi nuovamente un essere umano, distinto da quel freddo fagotto di lenzuola.
C’è un elemento fondamentale che deve essere contemplato. L’ambiente umano e fisico in cui la persona trascorre la sua vita dipende da noi. Questo ambiente racconta come consideriamo l’essere umano: un corpo o una Persona.
Gli studi dimostrano che la bellezza è terapeutica. Essa disintegra gli stereotipi e rimuove la vecchiaia dallo stigma della fatica, del corpo accartocciato e del “non capisce più niente”. La bellezza ci ispira a tirare fuori il nostro meglio nel processo di Cura.
Immagina di entrare nell’ambiente di vita della persona di cui hai cura e di costruire per lei un luogo accogliente che doni serenità e calore. Mobili che richiamano gli arredi di casa con elementi naturali, un comodino accanto al letto con un vaso di fiori freschi e una cornice con una foto di famiglia o di un momento gioioso. La luce del sole entra dalle finestre, favorendo il ritmo circadiano e il benessere. Il tendaggio assicura protezione e discrezione. La temperatura è ottimale, e la biancheria è scelta con cura per adattarsi alla stagione.
Ogni dettaglio parla di attenzione e accuratezza. Anche se la persona ha lo sguardo rivolto al soffitto, possiamo creare una finestra sul mondo proprio lì. Questi piccoli gesti offrono un senso di appartenenza e familiarità, perché intessuti di personalizzazione. Parlano di attenzione e di accuratezza.
Il Potere del con-tatto gentile nella cura delle persone con demenza
Quando entri in un ambiente di cura, sei invitato a chiedere il permesso e ad avvicinarti con gentilezza e garbo. Questo tipo di contatto diventa uno strumento per riscoprire l’umanità nostra e della persona di cui abbiamo cura, al di là della malattia. Inizia ancor prima di qualsiasi azione assistenziale, quando guardi negli occhi la persona di cui hai cura. “Tu esisti nello sguardo di chi ti guarda.”
Uno studio condotto su persone con ictus dell’emisfero destro ha dimostrato che un “tocco affettivo” gioca un ruolo importante nella ricostruzione del sé corporeo. La consapevolezza globale multisensoriale integrata del proprio corpo è fondamentale.
Il contatto, necessario per il “tocco affettivo”, si riferisce alle sfaccettature emotive e motivazionali della sensazione tattile. È collegato all’attivazione di un sistema specializzato di afferenze meccano-sensoriali (il sistema CT), che risponde in modo ottimale al tocco lento simile a una carezza. Il tocco è un atto di reciprocità: quando tocchiamo un’altra persona con le nostre mani, ne siamo automaticamente toccati. Non è possibile rifiutare di sentire il tocco. È una forma pura di comunicazione. Allo stesso tempo, è fondamentale accertarsi che la persona gradisca essere toccata.
La prossima volta che ti avvicinerai a una persona con demenza che trascorre molte ore nell’immobilità, sperimenta il contatto in questo modo:
- Respira profondamente per alcuni istanti, riportandoti al momento presente.
- Formula un’intenzione: cosa vuoi trasmettere con il contatto?
- Entra nella stanza e avvicinati alla persona con gentilezza.
- Risvegliala dolcemente se è addormentata.
- Accendi una piccola luce se è ancora buio.
- Incontra il suo sguardo e spiegale che alzerai la persiana.
- Offri un “tocco gentile” a partire dalle mani della persona.
- Se te lo consente, percorri il tragitto fino alle spalle senza perdere il contatto.
- Mantieni l’attenzione alle sue reazioni.
- Dalle spalle, scendi lungo il busto e giù fino ai piedi.
Così avrai consentito alla persona di percepire di nuovo sé stessa come un’unità.
Dieci azioni per avere cura.
Avere cura significa riconoscere e valorizzare tutto ciò che è ancora presente. È compiere piccole azioni quotidiane che contribuiscono al benessere della persona di cui ci prendiamo cura. Significa superare gli ostacoli come il “si è sempre fatto così”, la mancanza di risorse o il tempo limitato. La persona che assistiamo ha ancora capacità: prova emozioni, sente il contatto, percepisce suoni, odori e può compiere piccoli movimenti, come un cenno di assenso o un sorriso, ma può anche provare dolore.
Ecco una breve checklist con 10 azioni fondamentali da considerare per ridurre l’impatto dell’immobilità e migliorare la qualità della vita:
- promuovere il movimento: favorire il movimento in tutte le sue forme, per quanto è possibile alla persona grazie al tuo aiuto. Anche piccoli gesti come allungarsi o muovere le articolazioni possono fare la differenza.
- Variare la posizione: consentire alla persona di variare spesso la posizione, sia quando è seduta sia quando è a letto. Cambiare posizione almeno ogni due ore aiuta a prevenire problemi come le piaghe da decubito.
- Riconoscere e trattare il dolore: prestare attenzione ai segnali di dolore valutarlo e averne cura in modo adeguato.
- Comfort a letto: utilizzare cuscini adeguati per garantire il comfort della persona nelle diverse posture a letto. Un buon supporto può aiutare a prevenire disagi e dolori.
- Presidi antidecubito: utilizzare cuscini e materassi antidecubito, assicurandosi che siano posizionati correttamente e funzionanti. Questi dispositivi riducono la pressione su specifiche zone del corpo.
- Promuovere la vita e la relazione: lasciare la persona a letto solo quando strettamente necessario dal punto di vista clinico o per evitare affaticamento. Creare relazione con la persona con il con-tatto gentile.
- Tocco affettivo: prima di qualsiasi azione assistenziale, entrare in contatto con la persona utilizzando il “tocco affettivo”. Assicurarsi che la persona gradisca questo tipo di contatto.
- Riconoscere i movimenti Spontanei: Osservare attentamente la persona per individuare eventuali movimenti spontanei. Evitare di sostituirsi automaticamente alla persona, ma chiederle il permesso “per…”, coinvolgerla e chiederle per quanto le è possibile un aiuto.
- Storia di vita: utilizzare le informazioni dalla Storia di Vita della persona per creare un ambiente accogliente e familiare. Conoscere le preferenze, le abitudini e le esperienze passate può migliorare la qualità della Cura.
- Agire con intenzione: prima di agire, stabilire l’intenzione: come vogliamo far sentire la persona di cui abbiamo cura? come vogliamo sentirci come operatori?
La gentilezza è il coraggio di lasciarsi andare alle proprie emozioni per incontrare l’altro in uno spazio di delicatezza e di tenerezza. Se aggiungiamo a ogni nostro gesto accuratezza, pazienza e attenzione la nostra vita sarà un terreno fertile per far fiorire la felicità. La gentilezza ha il potere di fertilizzare questa possibilità, di ampliarla, di darle vigore – Letizia Espanoli
L’articolo completo a cura di Barbara Carraro è stato pubblicato nella rivista Cura, Editrice Dapero, che trovi a questo link
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