Il gesto che cura non ci lascerà mai orfani di tenerezza: idee per far ri-germogliare le Residenze per anziani
“Charles R. Swindoll scriveva che “la differenza tra qualcosa di buono e qualcosa di grande è l’attenzione ai dettagli”.
Penso alla meccanicità della cura, alla sua routine (alzato, mangiato, bevuto, camminato…). Alla cura fatta di piani di lavoro che identificano solo le azioni creando soddisfazione appena puoi dire a te stesso “fatto”. Bagno fatto, deambulazione fatta, magazzino fatto. “Fatto come?” potrebbe essere la domanda importante di questo articolo.
La Cura si svolge allenando l’accuratezza del gesto, della parola, dello sguardo. Non c’è cura senza relazione, non c’è cura senza quell’incontro che ci trasforma, non c’è cura senza impegno, fatica, intenzione. Il gesto che cura è intriso di sensibilità, attenzione e ogni azione svolta in piena consapevolezza e in presenza del “io ci sono per te”: ti guardo negli occhi, ti riconosco, conosco il tuo spazio e non lo invado ma mi affianco e ti accompagno lungo i tuoi sentieri della vita fino al Tempo Ultimo.
ACCURATEZZA in ciò che osservo e riporto in consegna
perchè tutto ciò che rilevo e compio aiuta il mio collega
a sua volta a cogliere la continuità del momento di cura.
ACCURATEZZA nell’uso di tutto ciò che mi serve per creare serenità nella cura, tutti gli strumenti e materiali fondamentali per sostenere le azioni assistenziali per me, per il mio collega del turno successivo e per permettere che il tempo sia dedicato alla Persona e non alla ricerca delle risorse materiali che servono nella giornata.
ACCURATEZZA nella crescita delle competenze dei professionisti verso la fragilità complessiva dell’anziano, la multipatologia ci interroga ogni giorno sul “come” stiamo lavorando: se con il senso di impotenza del “non poter far di più” o se con il seme della ricerca di nuove soluzioni di fronte ad una complessa dimensione di benessere.
ACCURATEZZA nell’affiancare le Famiglie nelle scelte dettate dal fine di vita attraverso la tenerezza del momento del saluto.
Il gesto che cura non ci lascerà mai orfani ma saprà far germogliare nuove attenzioni, nuove consapevolezze. Sai quale potrebbe essere la prima? La cura verso te stesso. Quella che prevede la ricarica dell’energia, quella che investe tempo per imparare a creare serenità ed ottimismo dentro te stesso, quella che ti fa incontrare il collega senza giudizio e con capacità interiore di intelligenza emozionale.
La passione per il lavoro che hai scelto deve trovare delle aree di manutenzione, nelle quali, con accuratezza, fai il tagliando alla motivazione ed all’umanità. Si, perchè nessun gesto che cura possa mai vestirsi di trascuratezza, di maltrattamento, di violenza. E perchè questo accada dobbiamo meravigliosamente restare umani.
E’ umano il professionista che sa guardare la persona nella sua completezza e non solo nei suoi sintomi o nelle sue mancanze, è umano chi sa porgere una mano per affrontare la vita, chi sa porsi in ascolto “attivo” ed ascoltare non solo le parole ma anche le note del cuore, è umano chi sa so-stare nella sofferenza dell’altro, chi non scappa di fronte al dolore, chi sa tenere una mano e lasciarsi scendere una lacrima. Lo so che ora mi dirai che ti serve tempo. Hai ragione. Ma nulla potrà il tempo senza un cuore capace di amare un lavoro di cura.