Alzheimer e perdita: tra sensi di colpa e dolore emotivo quali possibilità?
Elena aveva sposato Massimo dopo aver preso il diploma di ragioneria, nonostante la contrarietà dei genitori che avrebbero preferito per lei gli studi universitari. Elena, fin da bambina, aveva il desiderio di crearsi una grande famiglia e di diventare mamma. La sua vita era trascorsa felice con la nascita di quattro figli, cresciuti nell’amore incondizionato della famiglia.
Dopo trent’anni, una diagnosi di cancro al seno arrivò a turbare la vita di Elena e Massimo. Iniziò così il tempo delle cure in cui le sfide quotidiane sembravano ogni giorno diventare sempre più impegnative. Massimo si viveva più come “assistente” di sua moglie che marito. Elena lo percepiva, ma riusciva ad apprezzare e ad accogliere il modo in cui ora il suo compagno di vita riusciva ad esserle accanto, mentre lui attraversava con fatica e profonda sofferenza, la paura di perdere l’amore della sua vita. Quando Elena desiderava incontrare lo sguardo di suo marito, che lui le si sedesse accanto, che accogliesse la sua mano tra le sue, Massimo diventava sempre più distaccato. La distanza che Massimo poneva tra loro era la difesa inconsapevole innalzata mentre sperimentava profondi sensi di colpa e la miriade di sentimenti che lo accompagnavano.
Elena si rimise completamente, ma la malattia tornò a bussare alla porta di casa. Fu Massimo che si accorse che qualcosa stava cambiando. Aveva solo sessant’anni quando gli fu diagnosticata la malattia di Alzheimer. Fecero tesoro dell’esperienza vissuta: come ci si sente ad essere una persona che ha bisogno di cure ed essere la persona che ha cura dell’altro, imparando nuovi modi per vivere bene nonostante la diagnosi. Elena promise a Massimo che mai l’avrebbe lasciato solo e che sarebbero stati insieme fino alla fine. Massimo non aveva potuto curare la malattia di Elena, ed Elena oggi non può curare la demenza di Massimo, ma possono vivere insieme e continuare ad alimentare l’amore che li unisce.
Far pulsare la vita oltre la diagnosi significa accogliere, attraversare e trasformare il significato che diamo agli eventi talvolta vissuti tra sensi di colpa e dolore emotivo. È un continuo movimento che accompagna i carepartners nel viaggio che attraversa i paesaggi della malattia e quelli dell’anima.
Ogni giorno siamo chiamati ad impastare tre ingredienti: amore, tempo e dolore, per continuare a far fiorire la vita nella quotidianità. Un impasto del quale possiamo aver cura coltivando la consapevolezza che ci conduce ad uscire dallo schema dei gesti ripetitivi ed a continuare a fare le stesse cose, eseguendole in modalità automatica e d’istinto.
Consapevolezza è aver la luce sempre accesa su quello che facciamo, su ciò che pensiamo, sulle nostre emozioni e re-azioni. È essere presenti a noi stessi nelle cose che facciamo nel qui e nell’ora. È fare in modo che i nostri gesti, le nostre parole e le nostre scelte non siano meccaniche.
Letizia Espanoli
Abbiamo bisogno di coltivare la consapevolezza per riempire quel vuoto che sentiamo dentro di noi e sviluppare la capacità di chiederci:
- cosa è importante fare qui ed ora?
- quali motivazioni mi guidano?
- cosa scelgo di fare accadere?
- quali obiettivi ho nell’aver cura della persona che amo?
Quando viviamo in uno stato di inconsapevolezza questo vuoto lo riempiamo con azioni prive di scopo, prive di attenzione, automatiche e lontane dall’aver cura.
Vivere in consapevolezza significa allenare la capacità di prenderci per mano e condurci là dove possiamo incontrare il nostro benessere e migliorare quello del nostro caro. La consapevolezza ci permette di metterci in movimento, in azione e fare la differenza ascoltando:
- le proprie emozioni
- la propria paura
- la propria incertezza
- la propria fatica
- i propri desideri
- quegli istanti nei quali siamo stati bene insieme alla persona che amiamo.
Il valore enorme della consapevolezza è che ci rende la possibilità di riprendere la strada.
Letizia Espanoli
Nei momenti più sfidanti il prendere consapevolezza ci permette di togliere il pilota automatico, di uscire dalla ruota del criceto, di comprendere dove siamo, di interporre uno spazio tra noi e ciò che ci accade per far di nuovo pulsare l’energia e riprendere la rotta. Ci permette di accogliere i moti emozionali, di viverli per attraversarli.
Allenati alla consapevolezza con il tuo respiro, fermati un momento, adesso: chiudi gli occhi e respira, ascolta il ritmo dell’aria che entra ed esce, il fluire, la profondità, le sensazioni che provi mentre inspiri ed espiri nel naso, sulle labbra, nel torace e nella pancia che si gonfiano e si sgonfiano, lascia che il tuo respiro ti accompagni nei tuoi istanti di vita e accogli il suo pulsare forte, deciso, mentre irrora corpo e mente di vitalità.
Ed è in quell’oltre che possiamo vivere un tempo lento, il tempo dell’attraversare, nel pulsare della vita che potrai sentire quando sei accanto alla persona che ami per accompagnarla nel suo viaggio in quella connessione che esprime tutto l’amore incondizionato che continua ad esserci oltre la paura, oltre il dolore, oltre la diagnosi. Un tempo nel quale le emozioni fluiscono, danzano, si connettono in uno sguardo, nella ricchezza di una carezza, nella presenza calda e avvolgente del nostro esserci, in quel silenzio che parla di gentilezza, di gratitudine, di fiducia. Un tempo nel quale ogni carepartner costruisce la maestria della cura per offrirla alla persona che ama.
Un tempo nel quale attraversare la vulnerabilità umana ed entrare nella profondità del proprio dolore e dei propri pensieri, per trasformarli alla luce della consapevolezza, nella creatività che apre alle possibilità e si nutre di Speranza.
La Speranza che ci fa muovere verso i desideri, impegnandoci a realizzarli per fare in modo che la vita non rimanga schiacciata sotto il macigno della malattia, ma possa pulsare nella miglior qualità possibile fino all’ultimo respiro. La Speranza che nel suo potenziale trasformativo apre lo scrigno emozionale e ci connette a quello spazio infinito dove potremo ancora incontrarci. Perché nella Speranza vive la “bellezza collaterale”, quel sentimento di profonda gratitudine per ciò che insieme al nostro caro stiamo vivendo e abbiamo vissuto, capace di spazzare via l’alone del dolore della perdita, facendo riaffiorare ricordi ed emozioni che lo trasformano in quel sentimento d’amore che continua oltre la diagnosi, oltre il solo fattore biologico di esistere.
Dobbiamo riconoscere e lavorare per costruire connessioni, uccidere la paura e aprire i nostri cuori, avere uno spirito di gratitudine. La vita è sempre lì. Mentre siamo vivi, possiamo ancora scegliere di guardare dentro o guardare fuori. È una scelta quotidiana.
Wally Cox
MATERIALE A LIBERO UTILIZZO PER LA STAMPA