Ma almeno tu lo sai se lui ha paura del temporale?

“Il nuovo ingresso è arrivato” mi hanno detto l’altro giorno in una residenza per anziani. Ed io ho risposto “Avete comprato dei mobili nuovi per l’atrio?”. Il direttore mi ha guardato ed è scoppiato a ridere aggiungendo “No, è arrivato un nuovo ingresso Espanoli, un ospite nuovo”.
Ingresso: l’atrio, i mobili, la porta… tutto tranne che accoglienza. Non ditemi che sono fissata. Ma le parole hanno la loro importanza. E noi non facciamo un ingresso, noi stiamo facendo un’accoglienza. Serve un verbo attivo per vestire di accuratezza quel delicato momento in cui si lascia casa e si entra in struttura. Serve un verbo attivo per avere pazienza per quel lungo saluto che la famiglia darà sapendo che per i prossimi 14 giorni la persona che loro amano sarà in “quarantena” e loro potranno solo vederla in videochiamata.
L’accoglienza che si veste di due straordinari mantelli: la biografia (raccolta dal coordinatore con il famigliare) e l’autobiografia (raccolta dall’animatore direttamente con la persona). Se non sono la somma solo dei miei sintomi, ecco allora che la mia storia di vita diventa il tuo “kit di relazione” per comprendermi. Quando per la prima volta ho scritto intorno al tema della raccolta biografica e autobiografica ho espresso il concetto di paesaggi dell’Anima come complementari a quelli del Corpo.
«Lo scopo dell’autobiografia non è sapere la verità di ciò che ha vissuto una persona. Il ricordo ci dice quale il bisogno, il desiderio, l’emozione e il “sentire” di quella persona. Aspetto utile nella fase della malattia in cui la persona fatica a esprimersi con significati diretti e facilmente comprensibili. Quando la parola si sgretola e i racconti diventano frastagliati, non perderà di importanza l’ascolto focalizzato e capace di sentire le sue emozioni» scrive Martina Bonafini, educatrice e felicitatrice Master del Sente-mente® modello
Le persone che vivono con la demenza non sono solo la somma dei loro sintomi. Restano mamme, papà, mogli, ecc. Riconoscere quell’identità e costruire modelli assistenziali che le consentano di esprimersi è di fondamentale urgenza per non creare nuovi “disturbi del comportamento”.
Conoscere la persona ci aiuta a cogliere ciò che la rende unica, diversa da ogni altra persona. Aldilà del suo corpo accartocciato, aldilà delle sue malattie c’è una identità che la rende speciale. È da lì che prende forma la relazione che sa incontrare e accendere possibilità. E’ accuratezza della cura.
E’ accoglienza, non sarà mai più un ingresso.