Alzheimer: quella cintura che racconta la mia sconfitta professionale 2/5

E se le idee potessero partire dal basso? Da equipe socio sanitarie cosi appassionate della Cura, cosi tenaci da non fermarsi davanti ai problemi, cosi capaci di studiare e investire tempo nella conoscenza da creare progetti di assistenza individualizzata capaci di fare la differenza per le persone?
“Cosa ce ne facciamo di medici che “ratificano” la contenzione trimestralmente rinnovandola tutta per intero? Cosa ce ne facciamo di infermieri che non sentono l’urgenza di “obbedire” al loro codice deontologico oppure che non considerano la s-contenzione come un item fondamentale del caring infermieristico oppure di fisioterapisti che rinnegano l’essenza, il cuore del loro lavoro ovvero la generazione, in ogni modalità del movimento?” mi chiede, qualche giorno fa un giovane direttore di una residenza per anziani con in cuore il desiderio del cambiamento, dell’innovazione culturale e della voglia davvero di “essere la differenza”. “Non ce ne facciamo nulla: è tempo di scrivere il progetto triennale per la tua residenza. E’ tempo di raccontare il tuo sogno al tuo team ed appassionarlo alla libertà”. Ce la faremo? Ricordi? Quando il perché è forte, il come lo si trova sempre
Dobbiamo conoscere con esattezza non solo cosa ci porta a scegliere la contenzione come uno strumento di Cura, ma dobbiamo anche conoscere i reali effetti del nostro gesto di contenzione e chiederci se davvero, per mano nostra, noi vogliamo far accadere tutto questo:
“L’Infermiere riconosce che la contenzione non è atto terapeutico. Essa ha esclusivamente carattere cautelare di natura eccezionale e temporanea; può essere attuata dall’équipe o, in caso di urgenza indifferibile, anche dal solo Infermiere se ricorrono i presupposti dello stato di necessità, per tutelare la sicurezza della persona assistita, delle altre persone e degli operatori. La contenzione deve comunque essere motivata e annotata nella documentazione clinico assistenziale, deve essere temporanea e monitorata nel corso del tempo per verificare se permangono le condizioni che ne hanno giustificato l’attuazione e se ha inciso negativamente sulle condizioni di salute della persona assistita”: sacre sante parole pronunciate dal codice deontologico degli infermieri.
Credo che abbiamo bisogno di direttori, coordinatori e consigli di amministrazioni capaci di impegnarsi in progetti reali di cambiamento. La cura non è nella parola, ma nel gesto che incarna passione, interesse, cura del dettaglio. Ma ancora la cura è nell’idea che porti in testa: allungare la vita oppure creare quotidiani istanti di gioia, meraviglia, stupore? Cura è quando non guardi all’anziano come ad un oggetto da “rattoppare”, da aggiustare, ma ad una persona con la sua autodeterminazione. Cura è quando guardi alla malattia ed alla vecchiaia come ad una esperienza che non è identitaria “lui non capisce nulla, con lui non si possono fare attività, lui è rimbambito, lui è come un vegetale”, ma un’esperienza ricca di qui ed ora che ogni professionista può contribuire ad arricchire e che il Progetto di Assistenza Individualizzata ha la responsabilità di migliorare.
Ecco allora che, se persegui questo pensiero, non ti “accontenti” della protezione, della limitazione del rischio quando a farne le spese è proprio l’anziano stesso. Penso a quanto fondamentale resti il movimento e quanto sia crudeltà poter solo immaginare che una persona anziana possa trascorrere ore in una sedia a rotelle, senza un reale e specifico progetto sulla mobilità. Adoro le direzioni che con i loro fisioterapisti hanno saputo fare la differenza, sanno creare movimento in ogni modo, con gusto e innovazione
“Se si permette che mani e piedi vengano legati, in breve si riscontrerà nel paziente un totale processo di regressione e si darà l’avvio a ogni genere di trascuratezza e tirannia, “fino a che la repressione diventerà l’abituale sostituto dell’attenzione, della pazienza, della tolleranza e della gestione corretta” (J. Conolly, The Treatment of the Insane without Mechanical Restraints, 1856)
“Ricordo l’ospedale universitario di-non so dove. Mi sono agitato a tal punto che hanno dovuto legarmi. Dio mio, che orrore! Ero talmente su di giri e agitato che penso di essermi anche fatto male. Tiravo calci urlavo, facevo tutto sbagliato. È dura se sei tu stesso a fare quest’esperienza, specialmente se le persone non comunicano con te. Non si davano molto la pena di spiegare cosa loro dovevano fare e di farlo con garbo. Insomma mi trattavano solo come un caso clinico. E ricordo quella notte come una delle peggiori in assoluto della mia vita.” (professor Smith Henderson, Cary nel suo libro “Visione parziale: Un diario dell’Alzheimer”)
Oggi la contenzione è ancora una tragica emergenza che necessita davvero di progetti capaci di misurare con coraggio la contenzione in atto e scrivere e realizzare progetti per la sua riduzione radicale. Io ne sono convinta. Forse, dopo il Covid e le sue fatiche, questo potrebbe essere davvero il primo grande progetto di rigenerazione e rinascita
A giovedì prossimo per le prossime riflessioni intorno alle possibilità che abbiamo come team ad alto potenziale.
Articolo scritto da Letizia Espanoli in collaborazione con Barbara Carraro, fisioterapista e felicitatrice del Sente-mente ® modello