Alzheimer: il dilemma della verità

Giovanna cammina avanti e indietro da diversi minuti mentre sua figlia Sonia sta riordinando alcuni cassetti in cucina. Sul volto di Giovanna appaiono i segni della preoccupazione, ogni tanto butta uno sguardo sul grande orologio a cucù appeso sopra il televisore nel soggiorno. Sonia spesso alza gli occhi per vedere cosa sta facendo la sua mamma speciale, sorride tra sé mentre la osserva e darebbe chissà che cosa per entrare nella sua testa e sapere a cosa sta pensando in quel preciso istante. Sono le 15, si aprono le porticine e l’uccellino esce cinguettando per tre volte il suo “cucù, cucù, cucù”. Giovanna si ferma apre un sorriso magnifico sul suo volto ed esclama: “è suonata la campanella! Finalmente la mamma viene a prendermi a scuola ed io devo subito uscire ad aspettarla!”. E si avvia verso la portafinestra tutta eccitata al pensiero di vedere la sua mamma.
Cosa può fare il carepartner quando il suo caro è completamente immerso nella realtà dei paesaggi della demenza che non corrisponde alla “vera” realtà?
Vivere con la demenza significa talvolta sperimentare una diversa versione della realtà a causa del progressivo declino della capacità di comprendere ed elaborare le informazioni e gli stimoli interni ed esterni. Cosa diresti alla tua mamma se ti trovassi nella stessa situazione di Sonia nella storia che abbiamo raccontato? Probabilmente l’istinto ti potrebbe portare a pronunciare una frase del tipo: “Mamma, hai 92 anni e sono secoli che non vai a scuola! La nonna è morta quarant’anni fa, non te lo ricordi? Non uscire che non c’è nessuno che sta venendo a prenderti”. Razionalmente è sicuramente ciò che chiunque direbbe perché è corrispondente alla realtà attuale. E cosa potrebbe rispondere ora Giovanna? “Come? Mia madre è morta e nessuno me l’ha detto? Non è possibile, stamattina mi ha accompagnato a scuola e stava benissimo. Mi ha promesso che sarebbe venuta a prendermi…” e mentre pronuncia queste parole entra in uno stato di agitazione, urla e piange.
L’intento di un carepartner amorevole è quello di riportare nella realtà la persona che ama facendole abbandonare una visione di ciò che vive e percepisce come il suo mondo reale. Purtroppo spesso rappresenta l’innesco di un comportamento speciale a causa dello scatenarsi di emozioni legate al dolore, all’ansia, alla paura e talvolta alla rabbia. E allora come si può rispondere ad un comportamento che è “fuori dalla realtà”? Pensare e agire fuori dagli schemi sperimentando la “bugia innocente”.
Solo noi possiamo attraversare quel ponte che ci porterà nella realtà dei loro paesaggi dell’anima.
I nostri genitori ci hanno insegnato a non dire le bugie, ci hanno punito ogni volta che hanno scoperto che non abbiamo detto la verità. Il nostro imprinting è orientato alla “verità qualsiasi cosa accada”, ma dire la verità in certe situazioni può rappresentare per l’altro una grande crudeltà. Dire la verità, infatti non è sempre il modo migliore per attraversare quel ponte, perché nel paesaggio dell’anima del nostro caro sono in gioco sentimenti, emozioni, aspettative e desideri. Egli ci aspetterà sull’altra sponda, non riuscirà a tornare da noi, su quel ponte dobbiamo immaginare un unico segnale, quello del “senso unico” per noi.
La “bugia innocente” è una modalità di contatto che, senza ferire la persona che vive con demenza, la distrae dolcemente da un pensiero surreale attraverso la proposta di un’attività da fare insieme. Non significa manipolare e mentire al nostro caro per riportarlo alla realtà ma condurlo, con gentilezza a fare qualcosa di piacevole insieme a noi accogliendo ciò che egli in quel momento sta vivendo e attendendo pazientemente che la sua mente divaghi in un altro paesaggio. Quella che nella nostra lingua chiameremo una “bugia bianca” è il collante che unirà le nostre reciproche realtà: la nostra e quella della persona della quale ci stiamo prendendo cura al solo scopo di fornire conforto e rassicurazione.
Episodi come quello descritto possono accadere frequentemente quando la memoria a breve termine è sempre più compromessa dalla malattia. Questo comporta che la conversazione si ripresenterà anche a distanza di poco tempo perché il nostro caro l’avrà dimenticata, riproponendosi così più volte nella stessa giornata la medesima situazione. Quando ciò accade è utile interrogarsi sull’utilità di dire ogni volta la verità: è davvero necessario farlo se ciò causa angoscia? E’ davvero necessario se le tue parole vengono spesso fraintese o dimenticate rapidamente?
Il nostro caro “sente” e vive le emozioni legate alla sua realtà, il tentativo di ricondurlo ad una realtà che non riconosce trasforma il suo sentire rendendolo confuso e disorientato.
Stai preparando la situazione ideale ad innescare comportamenti speciali.
Il dott. Al Power, professore di psichiatria negli Stati Uniti, nonché Direttore del Schlegel Villages in Canada, definisce la demenza semplicemente come “un cambiamento nel modo in cui la persona vive il mondo che la circonda”. La dott.ssa Sonya Barsness, gerontologa americana esperta di problematiche associate all’invecchiamento e alle demenze, afferma che “un sintomo è un segnale di un’anormalità, che etichetta il modo in cui la persona sta agendo come anormale, e pertanto problematico. Questo paradigma presuppone che i comportamenti delle persone con demenza siano privi di significato, intollerabili, ed esclusivamente attribuibili a cambiamenti patologici nei tessuti cerebrali invece di essere l’espressione dell’esperienza di vita di chi percepisce il mondo circostante come qualcosa di molto complicato.” Adottare questa prospettiva può aiutare i carepartners ad adeguare sia l’impegno nella cura che nell’assistenza del proprio caro.
Le persone che vivono con la demenza sono essere umani, esattamente come tutti gli altri: non sono ne la somma dei loro sintomi e nemmeno diventano corpi accartocciati e vuoti.
Il punto di partenza di ogni carepartners dovrebbe diventare “pensare alla malattia in modo diverso”: solo continuare a vedere nei nostri genitori, nelle nostre mogli, nei nostri mariti, nei nostri cari, il nocciolo vitale potremo guardare alle loro azioni e ai loro comportamenti come parte di una nuova normalità.
Nel campo delle possibilità possiamo trovare utili suggerimenti per affrontare con serenità la “bugia innocente” e concordare, anche con le persone che insieme a noi se ne occupano, alcune risposte ai comportamenti più comuni che il nostro caro manifesta per farlo sempre sentire al sicuro. Alcuni esempi.
Dalla verità:
- nella storia che abbiamo raccontato all’inizio Sonia dice a Giovanna la verità e la reazione di Giovanna è di disorientamento e angoscia che scatenano le sue urla ed il pianto.
Alla “bugia innocente”:
- Giovanna: “è suonata la campanella! Finalmente la mamma viene a prendermi a scuola ed io devo subito uscire ad aspettarla!”
- Sonia: “Sono già le 15, è quasi ora di andare. La tua mamma mi ha chiesto di darti la merenda prima che arrivi a prenderti, così non avrai fame mentre torni a casa. Ho già preparato un succo di frutta e una fetta di torta, vieni a mangiare mentre aspettiamo”.
Le “bugie innocenti” diventano l’opportunità per distogliere l’attenzione sul pensiero di quel momento e fare qualcosa di diverso e permette di distrarre la mente attraverso un’attività piacevole come mangiare o osservare la natura e le persone che si incontrano mentre si passeggia. Può diventare l’occasione di parlare di qualcosa da fare “dopo” e creare istanti speciali da vivere insieme in un’unica realtà. La nostra attenzione di carepartner ci farà esplorare, insieme alle persone a noi care, i paesaggi della demenza nei quali troveremo gli “agganci” più adatti a condurli in altri luoghi senza creare in loro quelle ferite, spesso invisibili, che aggiungono solo altro peso alla relazione che abbiamo con loro. Viviamole come occasioni per trasformare momenti impegnativi in istanti di leggerezza.
“Le ferite invisibili sono le più difficili da curare e spesso la loro guarigione dipende dall’amore incondizionato degli altri.” Kate Swaffer
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