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  • Terapia farmacologica nella demenza: cambiamenti da osservare

Letizia Espanoli

10 Giu

Terapia farmacologica nella demenza: cambiamenti da osservare

  • By Anna Gaburri
  • In Letizia Espanoli
  • 0 comment
Terapia farmacologica nella demenza: cambiamenti da osservare

Quale ruolo hanno i familiari della persona con demenza rispetto alla terapia farmacologica? Che cosa è importante osservare nel proprio caro quando viene prescritto un farmaco? Come proporlo se il proprio caro lo rifiuta?

Come carepartner ci sono gesti che si compiono ogni giorno quasi senza pensarci. Dare una compressa, ricordare un orario, versare un bicchiere d’acqua. Eppure quando si ha cura di una persona con demenza, anche il più piccolo gesto può fare la differenza.

Cosa succede dopo aver dato un farmaco? Quel silenzio in più, quello sguardo sfuggente, quella stanchezza improvvisa, a volte non sono solo “cose della malattia”, ma segnali che meritano attenzione.

In questo articolo ti accompagniamo a riconoscere, comprendere segnali e agire con delicatezza rispetto alla terapia farmacologica. Perché la cura vera nasce dallo sguardo attento di chi ama. Ogni farmaco, se offerto con amorevolezza e presenza, può diventare un ponte di possibilità, un momento in cui la relazione si fa cura.

Quale terapia farmacologica viene solitamente prescritta alle persone con demenza?

I farmaci utilizzati variano a seconda del tipo e dello stadio della malattia. Alcuni nomi che potreste aver sentito includono: donepezil, rivastigmina, galantamina e memantina. Questi agiscono sui sintomi cognitivi, contribuendo in alcune persone a rallentare la progressione della malattia o migliorare temporaneamente le funzioni mentali.

In alcune situazioni, però, possono essere prescritti anche farmaci per gestire i cosiddetti “disturbi del comportamento” come agitazione, aggressività, deliri, o stati depressivi, utilizzando, ad esempio, antipsicotici o antidepressivi.

La gestione del comportamento non può e non deve essere solo farmacologica.

Nel Sente-Mente® Modello, in linea con le più recenti ricerche scientifiche, ogni comportamento viene considerato un linguaggio: un’espressione di bisogni profondi, emozioni, paure, o disagi che la persona non riesce più a comunicare in modo convenzionale.

Prima di pensare a un farmaco, è fondamentale chiedersi cosa la persona con demenza sta cercando di comunicare attraverso quel gesto, quel rifiuto o quella agitazione.

Dopo queste considerazioni, il farmaco può, talvolta, essere necessario, ma solo dopo aver tentato di leggere e accogliere quel comportamento in chiave relazionale ed emotiva.

Dare un farmaco non significa solo rispettare un orario o una dose.

È qualcosa di più profondo: è un atto di cura che richiede presenza, ascolto e osservazione. Soprattutto per le persone con demenza, che spesso non riescono a dire chiaramente se qualcosa non va, se hanno dolore o si sentono confuse.

Per questo, il tuo ruolo come familiare è fondamentale nel percepire e osservare i cambiamenti: sei gli occhi, le orecchie e il cuore del tuo caro.

Ecco alcuni segnali a cui prestare attenzione, accompagnati da esempi concreti che possono aiutarti a riconoscerli nella vita quotidiana.

Cambiamenti cognitivi e comportamentali.

 Dopo l’inizio di una terapia o un cambiamento nella dose, potresti notare che la persona è più confusa del solito, fa fatica a riconoscere la casa, o si perde anche in spazi familiari. Oppure potrebbe reagire improvvisamente, mentre prima si sentiva tranquilla: ad esempio, rifiuta di lavarsi, urla senza motivo apparente o lancia oggetti.

A volte, il cambiamento è più silenzioso: potresti osservare che il tuo caro si chiude in sé stesso, parla di meno, sembra non avere più interesse per le cose che prima gli piacevano, come guardare la TV o stare in compagnia.

Oppure potrebbe iniziare a parlare con persone che non ci sono, o dire di vedere cose strane: sono segnali che meritano attenzione.

Ogni comportamento è un messaggio. Non sempre va “zittito” con un altro farmaco, ma ascoltato e compreso.

Ad esempio: “da quando ha iniziato quella compressa nuova, la mamma si sveglia la notte gridando, dice che ci sono degli uomini in camera. Non lo aveva mai fatto prima.”

Effetti sul sonno e sul ritmo di vita.

Il sonno è uno dei primi segnali da osservare. Se la persona non riesce più a dormire, si sveglia spesso, si alza durante la notte e cammina senza meta, potrebbe essere un effetto del farmaco.

Al contrario potresti osservare che dorme quasi tutto il giorno, appare assente o fatica a stare sveglia anche durante i pasti, è bene segnalarlo.

Il corpo ha dei ritmi: è importante osservare se cambiano, anche se in apparenza sembra “solo stanchezza.”

Ad esempio: “dopo la nuova cura, il nonno passa tutto il pomeriggio sul divano e non riesce a seguire nemmeno il suo programma preferito.”

Terapia farmacologica e cambiamenti nel movimento o fisici evidenti.

Alcuni farmaci possono causare rigidità, tremori o movimenti rallentati. Può darsi che la persona cammini con più fatica, trascini un piede o abbia bisogno di maggiore aiuto per alzarsi dalla sedia. Altri segnali possono essere instabilità improvvisa o cadute frequenti, che prima di una terapia farmacologica o di una variazione non accadevano.

È importante fare attenzione anche a segni visibili sulla pelle: gonfiori alle gambe, arrossamenti, prurito o reazioni cutanee che compaiono dopo l’assunzione del farmaco.

Non è sempre colpa della malattia: a volte è il corpo che sta segnalando un sovraccarico.

Ad esempio: “hai notato che dopo qualche giorno dall’inizio della terapia, papà ha cominciato a tremare quando prende il cucchiaio, e ha già perso l’equilibrio due volte.”

Alterazioni dell’alimentazione e dell’intestino.

Cambia l’appetito? La persona rifiuta il cibo, ha nausea o dice che non ha fame, anche se prima mangiava volentieri? Oppure ha episodi di diarrea o stitichezza che non erano presenti prima?

Ad esempio: “da quando prende le gocce nuove, la zia dice che ha lo stomaco chiuso e ha saltato i pasti per due giorni. È dimagrita all’improvviso.”

Questi segnali possono sembrare lievi, ma in una persona fragile fanno la differenza. Meglio parlarne subito con il medico.

I segnali silenziosi, ma significativi.

Ci sono cambiamenti difficili da spiegare a parole, ma tu, che vivi accanto al tuo caro, li percepisci: uno sguardo spento, un’espressione assente, una reazione emotiva che non arriva. La persona non cerca più il tuo sguardo, o sembra irritata anche solo se le parli con dolcezza.

Ad esempio: “mio marito da qualche giorno non sorride più. Non dice nulla e ha uno sguardo che non gli riconosco.”

Questi sono campanelli d’allarme delicati, ma profondi: se qualcosa non ti torna, fidati del tuo intuito, è uno strumento prezioso, la bussola di chi sente con il cuore e si pone domande per coltivare possibilità. Annota, osserva e parla con il medico.

Il tuo osservare è una forma di cura. Non è “essere apprensivi”: è essere presenti, con occhi attenti e cuore aperto.

Non serve sapere tutto, ma serve vedere quello che cambia. E ogni volta che segnali un effetto collaterale, stai proteggendo la qualità di vita della persona di cui hai cura.

Cosa fare se noti un cambiamento?

Annota tutto e non sospendere mai il farmaco di tua iniziativa, ma comunica le tue osservazioni al medico che ha prescritto la terapia.

Come famigliare sei invitato a diventare “coltivatore di possibilità” anche nella cura farmacologica.

Sulla base dei documenti dell’OMS e del Ministero della Salute, prendi in considerazione alcuni suggerimenti rispetto ad alcune buone pratiche da adottare, fondamentali per chi ha cura di una persona con demenza:

Chiedi sempre informazioni chiare al medico rispetto alla terapia farmacologica.

Quando viene prescritto un nuovo farmaco, chiedi sempre al medico:

  • qual è l’obiettivo del trattamento?
  • quali effetti dovremmo aspettarci, e in quanto tempo?
  • quanto durerà la terapia?
  • come capire se il farmaco sta funzionando o meno?

Spesso accade che alcuni farmaci prescritti per un tempo limitato, vengano mantenuti a lungo, anche dopo che le condizioni della persona sono cambiate, oppure si sommano ad altri nella convinzione di “fare del bene”. Ma ogni farmaco va monitorato, e ogni tanto è utile rivalutare insieme al medico la necessità di proseguire.

  • Rispetta una routine: proponi i farmaci sempre agli stessi orari. La prevedibilità aiuta la persona a sentirsi più sicura.
  • Fa attenzione alla postura: verifica che la persona sia seduta o semi-seduta per facilitare la deglutizione e prevenire il rischio di soffocamento. Offri un bicchiere d’acqua prima e dopo la somministrazione, salvo controindicazioni specifiche.
  • Stabilisci un contatto visivo, parla con dolcezza, spiega con parole semplici cosa state facendo. Questo rafforza la fiducia e favorisce la collaborazione.
  • Mai forzare, se la persona rifiuta il farmaco, non insistere con forza. Prova più tardi o cambia contesto. Se il rifiuto persiste, informa il medico.
  • Non mescolare farmaci nel cibo senza indicazioni mediche: alcuni farmaci perdono efficacia se triturati o sciolti. Chiedi sempre consiglio al farmacista o al medico prima di modificare la forma di assunzione.

Oltre il “far prendere” la terapia farmacologica.

La somministrazione dei farmaci non è solo una questione tecnica: è un atto relazionale, un momento in cui si può avere cura del proprio caro con uno sguardo attento e consapevole.

Nel percorso di cura può accadere che la persona con demenza rifiuti il farmaco, lo sputi, lo nasconda o reagisca con diffidenza o rabbia. In questi momenti, è naturale sentirsi frustrati o preoccupati: chiediti come ti senti, se stai respirando, se stai pensando solo a “fargli prendere le medicine”, respira e recupera la calma. Puoi provare ad accogliere comprendere ogni rifiuto come un’opportunità per comprendere più a fondo ciò che la persona sta vivendo.

Il gesto di rifiutare un farmaco non è semplicemente “ostinazione” o “non collaborazione”, è un linguaggio, un messaggio che ci invita a fermarci, osservare e chiederci:

  • Cosa sta provando in questo momento?
  • C’è qualcosa che non comprende, che teme, che non riconosce?
  • Sto proponendo la terapia in un contesto calmo, sicuro, rassicurante?

Il nostro compito non è “vincere la resistenza”, ma costruire un’alleanza, anche solo per pochi istanti, attraverso la fiducia, la calma, la presenza. Proporre un farmaco può diventare un gesto amorevole se lo accompagniamo con un tono dolce, uno sguardo sereno, un contatto visivo che dice: “Sono qui con te, e ho cura di te con rispetto.”

Nell’essere accanto continui ad apprendere, a osservare, a dare voce a ciò che conta. E nel farlo, coltivi possibilità di vita nella fragilità. Perché la cura vera è una presenza viva che genera senso, giorno dopo giorno.

 

Articolo scritto con Roberta Lenzi, infermiera e Felicitatore del Sente-Mente® Modello

 


APPROFONDIMENTI

  • Quando il momento della terapia diventa una sfida, strategie per trasformare l’istante
  • Terapia farmacologica nella demenza: cambiamenti da osservare
  • L’approccio non farmacologico per le persone con demenza e Alzheimer: il punto di vista del Sente-Mente® Modello
  • Demenza e comportamento: e se facesse così perché…?
  • Perché fa così? Leggere i disturbi del comportamento della persona con demenza in famiglia
Tags:#disturbidelcomportamento#sentementefamiglie
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Anna Gaburri

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