L’accuratezza di uno sguardo che diventa cura incarnata con la persona che vive con demenza

E’ solo nell’istante in cui ti guardo negli occhi che mi fermo e sono pronto a costruire l’incontro, la relazione. Sono certa che la relazione di cura debba iniziare a spogliarsi dall’arroganza di chi sa sempre tutto e si permette di dire sempre all’anziano cosa fare. La cura ha bisogno di umiltà, quella che incontra l’altra da una posizione di parità, un essere umano che incontra un’altro essere umano.
Quando non è cosi immaginiamo la cura come una serie di azioni, collegate insieme da bisogni fisici. Azioni che l’altro deve lasciarsi fare, pena l’essere classificato aggressivo, non collaborativo, maleducato.
“La mia più grande paura, vivendo con la demenza, è che le persone che si prendono cura di me finiscano col farmi diventare un disabile a tutti gli effetti facendo tutto al posto mio. Ci sarà un momento in cui avrò bisogno di maggior assistenza ma fino a che non arriverà quel giorno, lasciatemi fare tutto quello che riesco. Se io sto lottando con i miei pensieri per riuscire a formularli, non finite le frasi per me perché voi non potete pensare quello che io sto pensando. La stessa cosa vale quando qualcuno vuole rispondere al posto mio. Se mi pongono una domanda vorrei essere io a rispondere. Se tu parli per me, nessuno si preoccuperà di parlare con me, e così, invece che fare a me le domande, le faranno ad altri. Questo succede molto spesso quando qualcuno si rende conto che io sono malato di demenza. Questo mi fa pensare che loro siano convinti che io sia diventato stupido tutto ad un tratto. La prossima volta guardami negli occhi quando stai parlando con me. Fammi sentire che tu desideri parlare con me. Posso leggere nei tuoi occhi se tu ti senti veramente a tuo agio a parlare con me oppure se hai paura di starmi vicino. Io sento le tue emozioni e le rispecchierò. Se tu sei arrabbiato o frustrato tu trasmetterai queste emozioni a me. Le mie paure hanno davvero poco a che fare con la mia demenza mentre riguardano principalmente il mio timore di perdere la mia qualità di vita. Io temo che tu proverai pietà per me e mi trasformerai in una persona disabile. Io so che le uniche informazioni che leggete riguardano le ultime fasi della malattia, ma io non sono ancora lì. Lasciatemi vivere con il mio Alzheimer fino al giorno in cui non potrò più fare le cose di tutti i giorni con dignità. Proteggetemi permettendomi di lottare” scrive il mio amico Harry Urban.
Riflettiamo insieme sulle parole del grande psichiatra italiano Eugenio Borgna “Ma le parole hanno bisogno degli occhi, degli sguardi, delle loro infinite espressioni, se intendono essere sincere e se intendono essere prese sul serio da chi ascolta; e anche gli occhi hanno un loro linguaggio”.
Il con-tatto visivo. Gli occhi, specchio dell’anima. La relazione con la persona che con-vive con la demenza allora inizia da qui. Prima ancora della necessità di fare qualcosa, prima delle parole, prima dei gesti: lo sguardo. Occhi che per qualche secondo si incontrano e si sorridono, si ri-conoscono. Occhi che metacomunicano: “Sono qui per te”. Lo sguardo come porta di accesso alla meraviglia che sei: “toc, toc. Posso entrare?” Io esisto solo se tu mi guardi è la lancinante verità della relazione umana. E cosi inizia a creare un supplemento di sguardi verso la persone che con-vive con la demenza e se puoi, al mattino, donati anche un tu uno sguardo: concediti di esistere ai tuoi occhi.
Ed allora il primo desiderio di chi con-vive con l’alzheimer è essere visto, essere riconosciuto come persona e non come la somma dei suoi sintomi.
Allena la tua accuratezza questa settimana nello sguardo che incontra, si emoziona, si lascia trasformare. Perché non hai scelto questo lavoro per i gesti che compi ma per le persone che incontri. Non dimenticarlo mai.