Gestione dello stress e prevenzione del burnout nelle RSA: strategie per i leader

Nel settore delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), i leader si trovano quotidianamente ad avere cura di sfide complesse legate allo stress, alla fatica emotiva e al rischio di burnout tra il personale. La natura del lavoro, caratterizzata da relazioni profonde, responsabilità elevate e condizioni di lavoro spesso intense, rende fondamentale adottare strategie efficaci di gestione dello stress e di prevenzione del burnout.
1. Fattori di stress specifici del settore delle RSA
Per gestire efficacemente lo stress è essenziale prima riconoscere le cause che lo alimentano. Nel settore delle RSA, alcuni fattori di stress sono particolarmente ricorrenti e richiedono attenzione mirata, riguardano:
- elevata responsabilità: i professionisti della relazione e della cura sono responsabili della qualità dell’assistenza, della sicurezza degli anziani, dell’efficacia e dell’efficienza operativa;
- risorse: carenza di personale, il turnover, attrezzature deteriorate, mancanza di innovazione possono aumentare la pressione.
- ambiguità: le comunicazioni tra direzione, operatori e famiglie sono confuse e generano frustrazione;
- procedure e piano di lavoro rigido: procedure da rigenerare e un piano di lavoro rigido in cui gli operatori si sentono ingabbiati da tempi dettati dal “minutaggio”;
- gestione dei conflitti: rapporti difficili con e tra il personale, i familiari possono creare tensioni costanti;
- scarsa Bellezza Terapeutica: lo squallore genera ambienti a «rischio» perché è considerato un «fattore sentinella» per i maltrattamenti verbali e fisici (cit. Letizia Espanoli).
Fattori di stress emotivi
- Empatia e carico emotivo: la relazione con gli anziani e i loro familiari può essere emotivamente impattante, portando a sentimenti di impotenza, disagio o compassion fatigue.
- Complessità: i bisogni dei residenti aumentano, ma il tempo per occuparsi di loro sembra sempre meno. E non c’è spazio per i desideri.
- Situazioni di emergenza: imprevisti quotidiani, malattie improvvise o decessi, aumentano il livello di stress.
- Senso di responsabilità morale: il desiderio di offrire il meglio possibile può diventare fonte di pressione e senso di fallimento di fronte alle tempistiche entro le quali viene chiesto di adempiere ai propri compiti.
Fattori di stress individuali
- Equilibrio tra vita lavorativa e personale: turni lunghi, disponibilità continua e responsabilità possono compromettere il benessere personale.
- Capacità di gestione dello stress: la mancanza di strumenti adeguati per la gestione dello stress, sia per i leader, sia per i professionisti della Cura e della Relazione
2. Tecniche di gestione dello stress
Le emozioni non sono il problema, ma la chiave.
Come leader, ma anche come operatore, hai mai sentito la fatica di lavorare in una realtà che sembra ingovernabile? Hai mai vissuto una giornata in cui tutto sembra scorrere bene, ma basta un attimo per far crollare l’equilibrio? Il residente che rifiuta la cura, il collega che sembra non capire, la direzione che prende decisioni non comprese o non condivise dall’operatore. E improvvisamente, ti senti frustrato, impotente, irritato, esausto.
Allora ti chiedi: “Perché mi sento così?”
Potresti pensare che il problema riguardi le emozioni: rabbia, tristezza, delusione, senso di ingiustizia. Invece sono messaggeri preziosi. Ci parlano di ciò che conta per noi, di ciò che vorremmo cambiare, di ciò che ci sta a cuore. La sfida non è eliminare le emozioni, ma ascoltarle e utilizzarle come strumenti per migliorare la qualità della Cura e delle relazioni.
Daniel Goleman, studioso di intelligenza emotiva (IE), lo dice chiaramente: le emozioni non sono il problema. Il problema è non sapere ascoltarle e trasformarle.
Allenare l’agilità emotiva.
L’intelligenza emotiva è una competenza fondamentale nelle professioni di cura che, a ogni livello all’interno dell’organizzazione, deve essere allenata. Si compone di quattro elementi chiave:
- percezione emotiva: riconoscere le emozioni in noi stessi e negli altri (cosa sento quando…? Quale emozione potrebbe provare l’altro?);
- comprensione emotiva: capire il significato dell’emozione chiedendosi ad esempio se la rabbia dell’altro potrebbe essere paura, o se la propria frustrazione nasce dal sentirsi poco ascoltati;
- regolazione emotiva: gestire l’emozione in modo che ci aiuti, senza reprimerla né lasciarla esplodere, chiedendosi “come posso trasformare la mia reazione in un’azione costruttiva?”;
- utilizzo delle emozioni: usare l’emozione come energia per migliorare la comunicazione e la relazione, riflettendo su “come posso canalizzare la mia empatia per migliorare il benessere del residente e del mio team?”.
In ogni istante delle nostre giornate in residenza per anziani sperimentiamo emozioni
- Quando un residente non fa quello che vorremmo.
Se nell’organizzazione l’unica misura del successo è l’esecuzione del piano di lavoro, di quanti bagni vengono eseguiti, il rifiuto del residente diventa un fallimento. Ma se si allena il team a imparare a chiedersi cosa c’è dietro quella resistenza alla cura, i professionisti cominciano a vedere il comportamento del residente non come un problema o un ostacolo, ma come una forma di comunicazione con cui quella persona sta cercando di esprimere un bisogno o un desiderio da comprendere. E il team lavorerà per rendere piacevole il momento dell’igiene chiedendosi quali passi creare per offrire un bagno gentile.
- Quando un collega viene percepito come irritante, chiuso, distante.
Forse si sente stressato, stanco, demotivato. Forse sta lottando con qualcosa che non conosciamo. E se prima di giudicare provassimo a domandare “Come stai?”
- Quando la direzione prende decisioni e l’operatore non le condivide.
La frustrazione può spingere a lamentarsi o a chiudersi. Ma se quella frustrazione viene trasformata grazie a domande e dialogo, trasparenza e coinvolgimento del team, si possono creare spazi di confronto e miglioramento.
Studi dimostrano che regolare le emozioni rafforza la corteccia prefrontale, l’area che ci aiuta a prendere decisioni razionali e ad affrontare le sfide con equilibrio. Il cortisolo, l’ormone dello stress, se lasciato senza gestione, ci rende meno lucidi e più reattivi.
La consapevolezza emotiva riduce l’ansia, aumenta la resilienza e ci rende più efficaci nelle relazioni di Cura.
Come leader o coordinatore sperimenta per una settimana, questo esercizio:
- Fermati e ascolta → “Cosa sto provando in questo momento?”
- Identifica l’emozione → “Da dove arriva questa emozione?”
- Usala come guida → “Cosa posso fare per trasformarla in un’azione utile?”
- Dopo aver sperimentato su di te, programma un allenamento per il team, potrebbe essere questo:
Le emozioni non sono il problema. Sono la chiave. Impariamo a navigarle, invece di subirle, per rendere la Cura più autentica, più efficace, più umana.
Se sei un leader o un coordinatore: guarda alla compassion fatigue
Immagina i tuoi operatori. Arrivano a sera dopo un turno intenso. Hanno risposto alle continue richieste, rassicurato residenti, alleviato il dolore di chi sembrava non trovare pace, sono stati accanto a qualcuno fino all’ultimo respiro… Può accadere che quando si fermano un attimo sentano dentro una stanchezza che va oltre il corpo: è l’anima che si sente affaticata. Spesso la compassione che nutrono per i residenti è ciò che li motiva a essere presente ogni giorno, ma arriva un punto in cui anche l’empatia sembra stanca, e le energie sembrano non bastare più. Questa è la compassion fatigue.
L’affaticamento da compassione è una condizione spesso confusa con il burnout, ma diversa nei suoi sintomi e cause. È una stanchezza emotiva profonda che avvolge chi si trova ad avere a cuore le persone, giorno dopo giorno. Mentre il burnout si manifesta come esaurimento dovuto a un sovraccarico di lavoro, la compassion fatigue deriva dall’esposizione continua alla sofferenza altrui.
È un segnale che:
- il nostro cuore ha bisogno di una pausa, che l’empatia costante sta esaurendo le nostre risorse interne;
- ti sta dicendo che hai bisogno di fermarti e comprendere come creare la tua “ricarica”.
Attraverso quali disagi puoi riconoscerla?
- Cognitivi: difficoltà di concentrazione, apatia, sensazione di distacco.
- Emotivi: tristezza, irritabilità, rabbia senza motivo apparente.
- Fisici: affaticamento cronico, insonnia, sintomi psicosomatici.
- Comportamentali: tendenza all’isolamento, scarsa tolleranza, distacco emotivo.
La compassion fatigue può portare alla perdita di interesse per il proprio lavoro e ridurre la qualità della Cura rendendo difficile trovare quella connessione che rende significativa la relazione con le persone, con i residenti, famigliari e colleghi.
“Assistere con empatia è una benedizione e una sfida: chi cura si espone a portare un peso invisibile, un’ombra di ogni storia ascoltata”.
“Compassion fatigue è una sindrome oscura e insidiosa che si insinua dentro di te. Non sai cosa sia, non sai di averla, sai solo che qualcosa non va e che non ti senti più te stesso” dice Juliette Watt pensando non solo a noi operatori, ma anche a tutte le famiglie che a casa hanno cura di persone anziane, con disabilità, con malattie croniche.
È fondamentale riconoscere i segnali di questa condizione e agire prima che diventi troppo pesante. Ecco alcune idee da sperimentare e in cui accompagnare gli operatori:
- praticare l’autocompassione: così come mostri compassione per gli altri, è essenziale che impari a essere gentile con te stesso. Accetta le tue emozioni e non colpevolizzarti per ciò che provi. Prenditi momenti di pausa e concediti tempo per recuperare;
- incorporare momenti di consapevolezza: pratiche di gentilezza possono aiutarti a radicarti nel presente e ridurre lo stress. È importante diventare capaci di riconoscere e accogliere le emozioni, senza giudicarle, e lasciarle andare;
- cercare supporto: parlane con colleghi, supervisori o amici. Condivi ciò che provi può alleggerire il peso emotivo e creare un ambiente di supporto reciproco. La supervisione regolare e il confronto possono essere preziosi strumenti per elaborare le difficoltà.
- riservare tempo per se stessi: trovare esperienze fuori dal lavoro che rigenerano è essenziale. Camminate, attività fisica, lettura o qualsiasi altra cosa che faccia stare bene può aiutarti a ricaricare le energie e mantenere l’equilibrio.
La compassion fatigue è un segnale, un invito a fermarsi e ricaricare le proprie risorse. Allenare la resilienza è fondamentale. Gli studi dimostrano che la resilienza è una competenza che si può costruire e che può rappresentare un antidoto alla compassion fatigue: incrementare le proprie capacità di allentare lo stress e cercare supporto all’interno della squadra sono modi efficaci per sostenere la salute emotiva. Coltivare relazioni positive con i colleghi e avere cura della propria salute mentale può prevenire l’insorgenza della compassion fatigue e favorire un ambiente di lavoro più sostenibile e umano.
Gli automatismi e le corse per stare nei tempi
Hai mai avuto la sensazione che il tuo lavoro sia diventato solo una serie di compiti da portare a termine? Che il senso profondo della Cura si sia perso tra turni serrati, emergenze continue e protocolli sempre più rigidi?
Se anche tu hai questo pensiero: “non è questo il lavoro che sognavo. Io volevo fare la differenza per gli anziani, ma qui mi sento solo un ingranaggio che si spezza ogni giorno di più” , probabilmente ti sta dicendo che non basta più navigare a vista.
Serve un nuovo modello di pensiero che conduca da un mondo instabile e difficile da controllare, a diventare capaci di rispondere alla complessità con una diversa consapevolezza e nuove competenze, di trasformare:
Fragilità → in resilienza
- La fragilità può essere trasformata in forza.
- Crea momenti di decompressione per ridurre lo stress e spazi di ascolto per il team.
- Ogni operatore può imparare ad avere cura di sé stesso, per poter avere cura degli altri.
Ansia → in competenze emozionali e presenza nell’azione e della relazione
- L’ansia nasce dalla sensazione di non avere controllo.
- Introduci nel team pratiche di ascolto consapevole, per permettere agli operatori di gestire meglio le emozioni, proprie e altrui.
- Conduci i momenti delle consegne perché diventino spazi di condivisione e non solo di passaggio di informazioni.
Non-Linearità → in adattabilità
- Ogni residente è diverso e ogni giorno porta sfide nuove.
- Accompagna il personale ad imparare a leggere meglio i segnali dei residenti e a rispondere con maggiore flessibilità ed efficacia.
- Rivedi ed elimina protocolli rigidi che ostacolano il benessere della persona, riscrive procedure ricche di senso e di azioni concrete.
Incomprensibilità → in trasparenza e intuizione
- La direzione può migliorare la comunicazione con il team, rendendola più chiara e partecipata. Crea una “mappa delle riunioni strategiche” e costruisci una comunicazione efficace.
- Incoraggia gli operatori a usare il proprio intuito, riconoscendo il loro valore nel processo di Cura.
Se questi passi ti sembrano impossibili, siamo qui per te. Grazie a un intenso lavoro di formazione e consulenza con il team Sente-Mente®, tante Case per anziani e il loro capitale umano sono rifioriti e hanno attivato un processo di miglioramento continuo:
- gli operatori si sentono più coinvolti e meno stressati. La resilienza e l’auto-efficacia sostituiscono il senso di impotenza.
- le famiglie si sentono parte del percorso di cura, andando a riducerre conflitti e incomprensioni.
- la qualità della vita dei residenti è migliorata, grazie a un approccio più umano e personalizzato. E con nuovi indicatori di risultato e processo è diventato più semplice comprendere lo “scostamento di rotta”.
Occorre un viaggio in cui ognuno rispetto al proprio ruolo gioca al suo meglio per arrivare a dire: “ora sento di nuovo che il mio lavoro ha senso. Non mi sento più perso nel caos, ma parte di un progetto che fa davvero la differenza.”
Per costruire il futuro della Cura, dobbiamo ripartire dalle persone. Possiamo scegliere se essere vittime dell’incertezza o protagonisti della trasformazione.
3. Implementare programmi per sviluppare il potere della gentilezza sul lavoro
La gentilezza non solo migliora le relazioni umane, ma ha un effetto biologico tangibile, contribuendo a ridurre l’impatto negativo dello stress sul nostro corpo – Steven W. Cove 2022
Studi scientifici suggeriscono che un ambiente basato sulla gentilezza riduce lo stress, migliora il benessere mentale e aumenta la produttività. Secondo Harvard Business Review, le aziende che promuovono la gentilezza vedono una maggiore coesione del team e una riduzione significativa del turnover. La gentilezza come cultura organizzativa incoraggia la fiducia e la sicurezza psicologica, permettendo ai collaboratori di esprimere le proprie idee e di innovare senza paura di esporsi.
Costruire relazioni di fiducia
La leadership gentile favorisce la costruzione di relazioni basate sulla fiducia reciproca, riducendo l’ansia legata al lavoro e aumentando la sicurezza psicologica.
Fiducia e sicurezza psicologica sono elementi fondamentali per prevenire il burnout, poiché consentono ai lavoratori di affrontare le difficoltà in modo più efficace e senza sentirsi soli.
Pratiche di gentilezza
La gentilezza non è solo una soft skill. È la pietra angolare di una forte leadership, collaborazione e benessere Letizia Espanoli
Ecco sei pratiche di gentilezza che puoi portare in campo:
- dare feedback positivo: riconoscere il lavoro fatto bene contribuisce a ridurre lo stress e aumentare la soddisfazione lavorativa, ma anche feedback rispetto alle criticità (O. Sezer, K. Nault, N. Klein, 2021)
- creare programmi di formazione e consulenza : studiare materiali, libri e articoli scientifici e offrire workshop e formazione continua per sviluppare competenze relazionali e di empatia tra i dipendenti e nel frattempo lavorare con il board per allineare i processi organizzativi alla cultura della gentilezza
- supporto: implementare politiche che favoriscano il benessere del personale, come flessibilità oraria, momenti di condivisione e supporto emotivo
- spazi di ascolto: creare momenti strutturati in cui i membri del team possano parlare apertamente delle proprie difficoltà, ricevendo supporto sia dal gruppo che dalla leadership
- migliorare l’ambiente di lavoro incoraggiando l’iniziativa e l’innovazione
- trascorrere del tempo con ogni componente del team per scoprire come stanno e per ricordare loro gli obiettivi comuni prefissati.
Se vuoi davvero fare la differenza nella vita dei tuoi residenti e del tuo team, è arrivato il momento di agire. Non aspettare che lo stress si trasformi in burnout: inizia oggi a costruire un ambiente di cura più umano, resiliente e sostenibile. Investi nello sviluppo dell’agilità emotiva, promuovi una cultura della gentilezza e implementa strategie di gestione dello stress efficaci.
Stai pensando “bello, ma da noi non ci si riuscirà mai”, o forse non sai da dove cominciare? Contattaci e scopri i nostri programmi di formazione e consulenza per costruire una leadership gentile nella tua organizzazione.
APPROFONDIMENTI
- La gentilezza nelle relazioni di cura
- La terra dei risultati della Buona Cura
- La gentilezza nelle relazioni di cura: una sfida e una risorsa
- Il Tempo che non abbiamo: leader senza tempo o senza strategie?
- #Curiosità e #leadership per un team più creativo e sicuro
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