“Idee per scrivere la vita oltre lo stigma dell’Alzheimer in una comunità: imparare ad “accogliere” le persone con Alzheimer nella comunità”
Luigi è solito passeggiare lungo le vie del suo paese. Ogni mattina alla stessa ora nel suo Bar preferito, Marisa la barista, gli prepara un cappuccino speciale ormai da molti anni. Luigi chiede il quotidiano e scorre i titoli per “dare uno sguardo al mondo” dice lui. A volte incontra qualche conoscente e scambia due parole sulle ultime notizie sportive o sulla politica. Al rientro si ferma al panificio e, con la lista della spesa della sua cara Anna, provvede agli acquisti per la giornata.
Questa sua routine lo fa sentire parte di una comunità, si sente accolto e aiutando sua moglie, sente di essere utile al ménage familiare.
Quando la demenza entra nella vita delle persone, spesso esse si trovano a vivere un “ritiro sociale”: vengono a perdersi queste piccole, ma preziose abitudini quotidiane che danno senso alla giornata e quindi significato all’esistere. Lo stigma culturale che avvolge le persone con demenza, la vergogna e il senso di inadeguatezza spesso sperimentati in un primo periodo di convivenza con la malattia, al quale seguono preoccupazione della famiglia per la sicurezza del proprio caro, fanno sì che l’autonomia della persona all’esterno della casa si riduca gradualmente fino a scomparire.
Come può una piccola comunità di paese diventare “accogliente” nei confronti di chi vive con la demenza affinché sia possibile mantenere il più a lungo possibile la sua autonomia, il senso di autoefficacia e di autostima?
Compiere alcuni passi indispensabili che prevedano un impegno comune da parte di tutti, affinché si realizzi un cambio culturale, è urgente.
Il primo passo fondamentale è cambiare il tuo pensiero rispetto alla demenza. Le parole che usi per parlarne con gli altri o a te stesso, possono costruire muri o essere porte spalancate all’accoglienza, possono alimentare pregiudizi o diventare messaggere di possibilità.
Le parole, come “esseri viventi”, hanno la capacità di trasformare il nostro “sentire”. Sono potenti perché se le scegliamo con accuratezza possono indurre in noi e in chi ci ascolta, un senso di benessere o viceversa, generare malumori e stress. Le parole non sono astratte e la ricerca scientifica, sempre più, sta dimostrando come esse abbiano un impatto sulla nostra biologia e, modificando la biochimica del nostro corpo, fanno sì che esso produca molecole che possono farci provare sensazioni spiacevoli o piacevoli.
Le parole evocano delle immagini che si traducono in emozioni che a loro volta condizionano i comportamenti. Ti invito a vivere questa esperienza:
- pronuncia, ad alta voce, la parola “demente”
- pensare ad una persona che conosci che vive con questa diagnosi
- ascolta cosa accade dentro di te
- quali emozioni si sono messe in movimento?
Parole come: demente, malattia devastante, mostro terribile, morto vivente, l’ombra di quello che era, che cosa suscitano dentro di te? Cosa provi? Non senti anche tu una sorta di irrequietezza o paura impastata con tristezza?
Parole senza speranza che rappresentano la malattia in termini drammatici.
Paolo Borzacchiello, massimo esperto di intelligenza linguistica e di interazioni umane, in un’intervista dichiara: “stiamo attenti a quello che diciamo, perché in un modo o nell’altro diventa vero, menzionare qualcosa ne rafforza la presenza. Parlare di una cosa, la fa diventare vera nel nostro cervello”.
Quando parli di demenza utilizzando questo linguaggio, quell’idea drammatica diventa vera per te, esiste, cancellando ogni spiraglio di possibilità e spingendo la tua attenzione verso tutto ciò che la malattia porta via. La demenza rappresenta una grande sfida per coloro che ne fanno esperienza diretta e per le famiglie che sono accanto ai propri cari condividendone la vita. Di fronte a questo dolore puoi imparare ad utilizzare le parole come strumento capace di aprire alla speranza. Sarà un piccolo passo per accompagnare te stesso e la persona di cui hai cura, nel percorso di convivenza con la malattia, senza farti travolgere dalle emozioni depotenzianti che un linguaggio tragico scatena.
Sarà necessario prendere consapevolezza degli effetti delle parole su di te. Ascolta delle persone che dialogano tra di loro, la televisione o la radio e senti, percepisci: utilizzano parole che ti donano benessere?
Allenati a riempire il tuo vocabolario di parole ricche di gentilezza, di calore, di vicinanza. Parole accoglienti che costruiscano ponti di umanità, ascolta quanto ti fanno stare bene.
Cambiare il linguaggio diventa quindi il primo passo in direzione di una trasformazione culturale, sia personale che sociale, al fine di restituire dignità alle persone che convivono con la malattia e permettere loro di vivere all’interno di una comunità sentendo di appartenervi.
Ti invito, da oggi, a sostituire la parola “demente” e utilizzare il termine “Persona che vive con la demenza”.
Sembra una piccola cosa, ma aiuterai te stesso ad indirizzare l’attenzione anziché verso la malattia, verso la persona che ancora desidera continuare ad essere vista come un essere umano e che, aldilà della diagnosi, continua a sperimentare la vita con tutto il caleidoscopio di emozioni che essa racchiude.
Le Sente-mente Comunità Amiche delle persone con demenza, camminano in questa direzione attraverso passi concreti di accoglienza di cui il linguaggio è il primo strumento di trasformazione.
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