Non ho paura di morire, ma di non vivere!
“Mi è venuto un infarto mentre ero al lavoro e questo ha dato il via all’intero effetto domino.
Quando mi fu diagnosticata la demenza avevo 55 anni.
Fondamentalmente ti dicono di tornare a casa e di mettere in ordine i tuoi affari. I dottori mi comunicarono di non poter fare nulla per me e che mi restavano da cinque a otto anni per vivere.
Andai a casa ritrovandomi in un’abitazione vuota (il marito di Christine è morto quando lei aveva ancora 47 anni). Avevo bisogno di assorbire tutto ciò.
Questo accadde cinque anni fa.
Ecco, noi vogliamo cambiare lo stigma!
Le persone hanno tanta paura della demenza. Non si rendono conto se cambiano il modo in cui la trattano e il modo in cui noi siamo trattati nel complesso … possiamo davvero stare bene nelle nostre comunità, non dobbiamo essere rinchiusi in case di cura.
E’ necessario che le case di cura devono rivalutare i reparti di demenza, dobbiamo fornire maggiore sostegno ai giovani che hanno questa malattia, le stesse famiglie hanno bisogno di strumenti e conoscenze, le persone devono provare meno terrore.
Senti una storia d’horror dopo l’altra, nessuno ti ha mai detto ‘sì, è terribile, ma puoi conviverci’.
Ho trascorso la mia carriera lavorando con persone che vivono con la demenza, prima della diagnosi. Dopo la diagnosi, non mi è stata data l’opportunità di continuare a lavorare. Con la perdita del lavoro è arrivata pure la perdita della mia casa. Credo che avrei potuto continuare a lavorare, se avessi avuto un supporto adeguato alle mia capacità.
Quando dici a una persona che ha una malattia terminale senza speranza e la lasci fuori dalla porta per tornare a casa, non va certo bene.
Dobbiamo essere più capaci di mostrare alle persone che c’è speranza.
Ma le cose stanno cambiando, anche se lentamente. Adesso lavoro alla HomeSense – una catena di negozi di arredamento per la casa – dalle quattro alle sei ore alla settimana. La compagnia con cui collaboro è meravigliosa.
Lavorare mi aiuta finanziariamente, mi aiuta in modo cognitivo, perché mantiene il mio cervello impegnato, mi aiuta emotivamente perché mi fa interagire socialmente.
Vivo da sola e guido ancora, tengo riunioni online quotidiane e lavoro duramente in vari aspetti legati alla mia tutela.
Con questo non voglio dire che la mia realtà sia “carina”.
La nostra realtà è che stiamo combattendo duramente ogni minuto della giornata.
Le cose che prima mi richiedevano 20 minuti ora richiedono ore. Un flusso infinito di allarmi e tecnologia mi consente di mantenerla in ordine ogni giorno. E per realizzare molto, ci vuole molto altro.
Ci sono persone che vivono bene 20 anni dopo, persone che hanno 40 anni, altre che hanno 80 anni, sono vive e vibranti … non stiamo seduti a casa ad aspettare.
Vivo con una malattia terminale, ma sono grata per così tanto. E’ vero che ha chiuso molte porte della mia vita, ma nell’attraversarla, chi avrebbe mai pensato che la vecchia Christine del Vernon avrebbe parlato alle Nazioni Unite o a Chicago oppure adesso a Singapore, con tutto il mio impegno per aiutare gli altri?
Non sono infelice nel mio mondo, il mio mondo funziona in modo molto diverso da com’era la mia vita pre-demenza, ma non sono infelice.
La realtà? L’orologio corre veloce. Io sto facendo assolutamente tutto ciò che è in mio potere per mantenermi qui, perché conosco anche la realtà una volta che entri in una Struttura per anziani, l’orologio viene posizionato in marcia avanti, perché ti tolgono tutte le tue capacità.
Ecco, questa è la mia paura, io non ho paura di morire, ho paura di non poter vivere.“
Articolo tratto da una intervista a Christine Thelker tradotto da Patrizia Gottardi.
Materiale a libero utilizzo della stampa.